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Prospetto Il Lupercale più antico e più affollato: lo specchio di Bolsena L'esposizione dei gemelli al Lupercale e il prodigio della lupa nutrice Lastra Campana con l'allattamento di Telefo L'adolescenza dei gemelli, la festa dei Lupercalia e l'uccisione di Amulio 1. Statuetta bronzea di un capro
Indice antcom:01624 antcom:03395

Il Lupercale più antico e più affollato: lo specchio di Bolsena

(Rosanna Cappelli)

p.XX-XX

Negli ultimissimi tempi si è dedicata una grande attenzione da parte degli studiosi all'interpretazione della scena restituita dallo specchio medio-repubblicano in bronzo, forse proveniente da Bolsena, conservato nell'Antiquarium Comunale di Roma.

Il fatto ha qualcosa di sorprendente, visto che ancora nel recente libro di C. Dulière (1979) l'opera veniva considerata non autentica: e certo per la rarità e complessità della scena figurata, che ancora oggi alimentano il dibattito scientifico.

Che lo specchio romano sia un unicum nell'ambito dei documenti noti della leggenda delle origini di Roma è sicuramente vero, almeno per una serie di motivi che proviamo di seguito ad elencare:

  • per la sua cronologia alta (IV secolo a. C.), che ne farebbe la più antica testimonianza figurata superstite del mito dei gemelli fondatori;

  • per lo schema iconografico nuovo adottato nella scena del prodigio della lupa nutrice, cui assistono due personaggi maschili, caratterizzati in modo assai diverso dai soliti Faustolo e Faustino, o Marte e Faustolo;

  • per la presenza di Mercurio in compagnia di una figura femminile a capo velato nel registro superiore (al di sopra del Lupercale) dello specchio.

  • Le interpretazioni finora avanzate (Adam, Briquel; Massa Pairault; Carandini) non hanno saputo spiegare la presenza del dio in una scena di Lupercale; fa eccezione l'analisi di Wiseman, che proprio sulla coppia Mercurio-figura femminile fonda una nuova esegesi della raffigurazione.

    Il suo punto di partenza è la favola ovidiana sulla nascita a Roma dei Lares Praestites, riportata nei Fasti, che vede protagonisti una ninfa del Palatino (Lara la chiacchierona, che venne da Giove privata della lingua e trasformata in Tacita Muta) e il dio greco Mercurio (il quale, incaricato da Giove di scortare Tacita Muta nel Velabro, le usò violenza). Se alla storiella degli amori di Mercurio e Lara-Tacita Muta allude la coppia del registro superiore dello specchio, allora la scena dell'allattamento della lupa sarà da riferire non ai tradizionali gemelli fondatori di Roma, ma piuttosto alla coppia dei Lares Praestites. Da questa interpretazione lo studioso fa derivare il riconoscimento come Quirino della figura maschile con lancia raffigurata a destra della lupa nutrice, un riconoscimento basato e sull'iconografia (la barba del dio e l'attributo caratterizzante della lancia) e sulla connessione Lara-Pan/Fauno-Quirino nel calendario festivo religioso dei Romani.

    Alla prima è dedicata la festa dei Feralia del 21 febbraio; al secondo (raffigurato a sinistra della lupa) la festa dei Lupercalia del 15 febbraio; al terzo quella dei Quirinalia del 17 febbraio. L'etimologia dei Feralia potrebbe derivare dal ricordo delle fiere che avrebbero nutrito e protetto i figli neonati di Lara. L'esegesi di Wiseman è stata respinta da A. Carandini con varie motivazioni, fra le quali la non attestazione dell'allattamento animale per i Lares Praestites, l'assenza di Quirino nel patrimonio mitistorico del Palatino-Cermalo e nei culti della Regia, la premazia evidente del gemello di destra, indicato specificamente dal personaggio con la lancia, inspiegabile nel rapporto paritario dei Lari.

    Se l'identità con Pan-Fauno della figura di sinistra è indiscutibile, il riconoscimento di Latino o di Quirino può avvenire solo alla luce dell'interpretazione complessiva, storico-antiquaria, della scena raffigurata, visto che l'iconografia antica conserva a riguardo ben poco. L'attributo dell'hasta, simbolo del potere regio e del sommo imperio (Giustino, Epitome a Pompeo Trogo, 43,3, 3: "per ea tempora adhuc reges hastas pro diademata habebant, quaes Greci 'sceptra' dixere"), resta naturalmente fondamentale per il riconoscimento, anche se idoneo a caratterizzare sia Latino (sulla lancia pura-sine ferro dei re di Alba Longa, cfr. Virgilio, Eneide, VI, 760 ss., e Servio, loc. cit.; lo stesso Servio, a proposito di Latino, in Commento all'Eneide, XII, 565, scrive unde nunc tenet sceptrum Latinus, non quasi rex, sed quasi pater patratus), sia Quirino (Dionigi di Alicarnasso, II, 48, 2-4; Ovidio, Fasti, II, 475 ss.; Plutarco, Vita di Romolo, 29, 1; Macrobio, Saturnali, I, 9, 16; Servio, Commento all'Eneide, I, 292); alla lancia si uniscono i particolari della barba e della corta tunica stretta alla vita da una cintura (che richiama la veste di Pico, re dei Laurenti e avo di Latino, così come descritta nel notissimo passo virgiliano). Allo stesso modo Latino viene raffigurato sulle monete repubblicane che commemorano il patto di alleanza stretto con Enea alla presenza della scrofa laurentina (LIMC, IV, p. 228, nn. 8-10, s. v. Latinus).

    E neppure dirimente per la teoria dei Lares Praestites appare la presenza della coppia Mercurio-Lara-Tacita Muta, visto che quest'ultima compare, in associazione con il tema del Lupercale, già sull'affresco pompeiano di Marco Fabio Secondo, dove l'identità dei gemelli allattati è resa sicura dalla presenza, sul registro superiore del quadro, dell'incontro di Marte con Rhea Silvia.

    D'altra parte, l'assimilazione dei Lares Praestites ai gemelli fondatori di Roma è un fenomeno unanimemente accettato dalla critica e provato da vari fattori, non ultimo l'identità della mater Larum con la madre adottiva di Romolo e Remo; sì da non essere costretti a ricondurre ai primi la notissima immagine della lupa che allatta.

    Si tratterà piuttosto di scoprire l'origine, e le ragioni, dell'associazione figurata dei due miti, cui forse non è estranea, almeno nel caso del dipinto pompeiano, la tradizione sulle origini della gens Fabia, illustre tra l'altro per annoverare tra i suoi membri colui che per primo scrisse in lingua greca la storia sistematica delle origini di Roma.

    Roma, Antiquarium Comunale, inv. MAI 49; diam. 18,5 cm, lungh. con presa 24,2 cm.

    C. Dulière, Lupa Romana: recherches d'iconographie et essai d'interprétation, Bruxelles-Roma 1979, I, pp. 72-73; II, p. 100, n. F1; R. Adam, D. Briquel, "Le miroir prénestine de l'antiquario comunale de Rome et la légende des jumeaux divins an milieu latin à la fin du IV siècle av. J. C.", MEFRA, 94, 1982, pp. 33-65; F. H. Massa Pairault, Iconologia e politica nell'Italia antica, Milano 1992, p. 164; T. P. Wiseman, The God of Lupercal, JRS, 85, 1995, pp. 1-22; T. P. Wiseman, Remus: a Roman mith, Cambridge 1995, trad. it. Roma 1999, pp. 62-68; A. Carandini, Rango, ritualità e il mito dei Latini, "Ostraka", V, 2, 1996, pp. 215-222; T. P. Wiseman, The She-Wolf Mirror (Again), "Ostraka", VI, 2, 1997, pp. 441-443; A. Carandini, Sullo specchio con lupa, Romolo e Remo (di nuovo a proposito di T. P. Wiseman), ibidem, pp. 445-446; Id., La nascita di Roma. Dei, Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà, Torino 1997, pp. 180-181.

    Dubita ancora dell'autenticità dello specchio C. Parisi Presicce nel suo recentissimo lavoro sulla lupa capitolina: C. Parisi Presicce, La Lupa Capitolina, Catalogo della mostra (Roma, Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli, 2 giugno-15 ottobre 2000), Milano 2000, pp. 19-20.

    L'esposizione dei gemelli al Lupercale e il prodigio della lupa nutrice

    (Rosanna Cappelli)

    p.XX-XX

    Lastra Campana urn:collectio:0001:antcom:03395 con l'allattamento di Telefo

    La lastra fìttile conservata nell'Antiquarium Comunale di Roma fa parte di una serie, della quale si conservano più esemplari, con raffigurazione del mito dell'allattamento animale (una cerva, come in questo caso, o una leonessa, come nel fregio del Grande Altare di Pergamo) di Telefo, figlio di Eracle e di Auge, in un caso (la lastra di probabile provenienza urbana conservata a Berlino) associato con quello della lupa nutrice dei gemelli.

    Alle raffigurazioni note del Lupercale (e a quelle più rare del prodigio laviniate della scrofa) si ispira la grotta all'ombra di un albero che ospita la miracolosa nutrizione dell'eroe fondatore di Pergamo, cui assiste Eracle, raffigurato con gli attributi caratteristici della clava e della pelle di leone e nella posa che in genere è adoperata per Faustolo, il padre adottivo dei gemelli, o per Marte.

    Alcuni elementi accomunano le vicende di Telefo a quelle di Romolo e Remo: figli di un dio (Marte) o di un eroe divinizzato (Eracle) e di una sacerdotessa (di Athena nel primo caso, di Vesta nel secondo), vengono abbandonati (Telefo sui monti Parteni e la madre Auge in un'arca a forma di guscio di nave; Romolo e Remo in una cesta sulle rive del Tevere) e riescono a salvarsi grazie all'intervento di un animale (la cerva o la leonessa per Telefo, la lupa per Romolo e Remo) e di alcuni pastori; divenuti grandi, liberano la propria madre, combattono in favore del proprio popolo e fondano città destinate ad avere destini illustri.

    La connessione tra le due leggende è stata da tempo ricondotta alle comuni origini troiane delle due città, propagandate a fini politici almeno dall'epoca della guerra annibalica, come testimonia l'introduzione a Roma, all'interno del pomerio più antico e sul colle delle origini, del culto di Magna Mater.

    Della precoce recezione della leggenda romana in ambito pergamene testimonia invece la decorazione del tempio eretto da Eumene II e Attalo in onore della madre Apollonis a Cizico, che comprendeva, tra gli esempi di devozione materna, la madre di Romolo e Remo, qui denominata Servilia (i Servilii sono citati da Livio e da Dionigi di Alicarnasso tra le famiglie albane, subito dietro gli Iulii).

    Roma, Antiquarium Comunale, inv. Ant. Com. 3395; lungh. 42,5 cm, alt. 35,5 cm, prof. 2,7 cm.

    Sulle lastre con Telefo dell'Antiquarium Comunale vedi da ultima, C. Martini, in C. Parisi Presicce, La Lupa Capitolina, Catalogo della mostra (Roma, Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli, 2 giugno-15 ottobre 2000), Milano 2000, p. 40, n. 17, con bibliografia precedente.

    Sull'uso a fini politici degli esempi più illustri della storia di Roma nel periodo delle conquiste d'Oriente, vedi il bellissimo studio di F. Zevi, Il Tempio dei Lari Permarini, la Roma degli Emilii e il mondo greco, RM, 104,1997, pp. 81-115. Sugli stylopinakia di Cizico, F. H. Massa Pairault, Il problema degli stylopinakia del Tempio di Apollonis a Cizico: alcune considerazioni, AnnPerugia, 19, 1981/2, pp. 147-219.

    L'adolescenza dei gemelli, la festa dei Lupercalia e l'uccisione di Amulio

    (Rosanna Cappelli)

    p.XX-XX

    1. Statuetta bronzea di un capro urn:collectio:0001:antcom:01624

    Capro bronzeo di carattere votivo.

    L'animale è fermo, nonostante che entrambe le zampe di destra, quella anteriore e quella posteriore, siano portate avanti, come nel passo dell'ambio. La testa, munita di corna rivolte all'indietro, appare leggermente abbassata, come se il capro fosse in procinto di sferrare un colpo. Tutta la figura suggerisce dunque la possibilità del movimento, una caratteristica questa che richiama l'arte greca dello stile severo. Il mento è provvisto di una folta barba, il pelame non è indicato sul corpo, con l'eccezione di una striscia, che interessa tutto il dorso, resa da linee finemente incise. Ciuffi di peli sono visibili sul collo, sotto il mento e la barba, e in corrispondenza delle ginocchia. Gli arti sono forti, la muscolatura asciutta; tutta la figura dell'animale è modellata accuratamente. Un bronzetto di capro molto simile è quello conservato nel Museum of Fine Arts di Boston, datato poco prima della metà del V secolo a. C. (Richter 1930, p. 26). Nel capro di Roma si può riconoscere un prodotto di stile proto-classico presumibilmente importato da un'officina tarantina e databile tra il 460 e il 445 a. C. circa.

    Una recente e persuasiva ipotesi di G. Colonna suggerisce che il bronzetto provenga da un santuario ubicato poco fuori della porta Viminale, un sacello di Nenia, dea delle lamentazioni funebri. L'offerta del capro non può essere distinta da quella della capra, il cui sacrifìcio - humano ritu come lo definisce Gellio (5, 12, 12) - era tipico per una divinità infera come Vediovis.

    Da Roma in via Milazzo, angolo via Magenta, rinvenuta nel 1873; Roma, Antiquarium Comunale, inv. 1624; alt. 14 cm, lungh. 14,5 cm.

    H. Stuart Jones, A Catalogue of the Ancient Sculptures Preserved in the Municipal Collections of Rome. The Sculptures of the Palazzo dei Conservatori, Oxford 1926, p. 296, n. 37, tav. 118; G. M. A. Richter, Animals in Greek Sculptur, Oxford 1930; T. Dohrn, in W. Helbig, Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom, II, 4a ed., Tübingen 1966, p. 592 s., n. 1825; G. Colonna, I Latini e gli altri popoli del Lazio, in Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988, p. 514, fig. 487; G. Colonna, Roma arcaica, i suoi sepolcreti e le vie per i Colli Albani, in Alba Longa. Mito storia archeologia. Atti dell'incontro di studio (Roma - Albano Laziale 27-29 gennaio 1996), Roma 1996, p. 340 ss.

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