[ urn:collectio:0001:doc:romatarquini:1990 ]

Prospetto 1. La tradizione storica e i documenti 1.5. Frammento iscritto da S. Omobono [Pag. 21] 1.6. Placchetta configurata a leoncino [Pag. 21] 1.7 Coppa iscritta dalle pendici del Campidoglio [Pag. 21] 1.8. Frammento iscritto dal Capidoglio [Pag. 22] ROMA 3. Il Foro e il Campidoglio: l’area pubblica e la rocca sacra 5. Il Foro Boario e le attività produttive 6. La civiltà artistica IL LAZIO 10. Il culto dei morti
Indice antcom:00455 antcom:03363 antcom:03371 antcom:03374 antcom:04400 antcom:05121 antcom:05424 antcom:05425 antcom:05426 antcom:05429 antcom:13530 antcom:14194 antcom:14914 antcom:15800 antcom:15801 antcom:15802 antcom:15802 antcom:15804 antcom:15805 antcom:15811 antcom:15812 antcom:15813 antcom:15815 antcom:15816 antcom:15817 antcom:15817 antcom:15820 antcom:15822 antcom:15823 antcom:15827 antcom:15827 antcom:15828 antcom:15831 antcom:15853 antcom:15854 antcom:15855 antcom:15857 antcom:15859 antcom:15867 antcom:15879 antcom:15883 antcom:15884 antcom:15890 antcom:15893 antcom:15906 antcom:15908 antcom:15911 antcom:15935 antcom:15955 antcom:15955 antcom:15963 antcom:15978 antcom:15990 antcom:16002 antcom:16007 antcom:16028 antcom:16037 antcom:16077 antcom:16101 antcom:16107 antcom:16116 antcom:16117 antcom:16119 antcom:16125 antcom:16154 antcom:16155 antcom:16156 antcom:16157 antcom:16158 antcom:16159 antcom:16160 antcom:16161 antcom:16163 antcom:16167 antcom:16230 antcom:17452 antcom:17461 antcom:19060 antcom:19061 antcom:19062 antcom:19063 antcom:19064 antcom:19065 antcom:19066 antcom:19067 antcom:19068 antcom:19069 antcom:19070 antcom:19071 antcom:19072 antcom:19073 antcom:19074 antcom:19075 antcom:19076 antcom:19077 antcom:19078 antcom:19079 antcom:19080 antcom:19081 antcom:19083 antcom:19086 antcom:19088 antcom:19089 antcom:19090 antcom:19091 antcom:19092 antcom:19093 antcom:19095 antcom:19096 antcom:19097 antcom:19098 antcom:19099 antcom:19100 antcom:19101 antcom:19102 antcom:19103 antcom:19106 antcom:19107 antcom:19109 antcom:19110 antcom:19111 antcom:19129 antcom:19134 antcom:19135 antcom:19139 antcom:19140 antcom:19142 antcom:19166 antcom:19167 antcom:19181 antcom:19185 antcom:19193 antcom:19197 antcom:19205 antcom:19210 antcom:19214 antcom:19217 antcom:20086 antcom:20088 antcom:20089 antcom:20090 antcom:20091 antcom:20091bis antcom:20092 antcom:20093 antcom:20094 antcom:20095 antcom:20097 antcom:20099 antcom:20100 antcom:27876

1. La tradizione storica e i documenti

1.5. Frammento iscritto da S. Omobono [Pag. 21]

Impasto.

Altezza 2,2.

Da Roma, area di S. Omobono, dagli strati precedenti la costruzione del tempio, in una fossa per sacrifici.

Roma, Antiquarium Comunale.

Pallottino 1965, 505 ss.; Roma 1976, 375, n. 129 (G. Colonna); de Simone 1981b, 95; Prosdocimi 1983, 1xxii-1xxiii; Steinbauer 1983, 217; Firenze 1985, 129, 5.3 (M. Cristofani); Colonna 1987a, 58; Roma 1989a, 57.

Appartiene a un vaso di forma chiusa, d’impasto bruno lucidato, con linee impresse e resti di un’iscrizione sinistrorsa, [---] uqnus [---], in alfabeto di tipo ceretano-veiente (si veda s a quattro tratti) in uso negli ultimi decenni del VII secolo a. C. L’etruscità del testo sembra assicurata dalla presenza di u e dal confronto con il nome dell’etrusco Ocno, mitico fondatore di Perugia e delle città etrusche padane.

1.6. Placchetta configurata a leoncino urn:collectio:0001:antcom:27876 [Pag. 21]

(tav. I)

Avorio.

Altezza 4.

Da Roma, area sacra di S. Omobono.

Roma, Antiquarium Comunale, inv. 27876.

Pallottino 1979b; de Simone 1981b, 96; Martelli 1981a; Messineo 1983; Prosdocimi 1983, 1xxiii; Steinbauer 1983, 218-219; Firenze 1985, 129, 5.4 (M. Cristofani); Colonna 1987a, 59; Cristofani 1987d; de Simone 1988, 32-34; Coarelli 1988b, 149 s.; Roma 1989a, 58.

Rinvenuta nel deposito votivo scaricato nel lato posteriore del tempio, a ridosso del primo podio, attorno al 540-530 a.C., la lastrina d’avorio risulta conformata a figura di leone accucciato nella parte anteriore mentre è liscia posteriormente. Viene considerata come antichissimo esempio di una tessera ospitale, che doveva congiungersi, nell’occasione, con un’altra lastrina analoga. Nella parte posteriore è graffita l’iscrizione etrusca araz silqetenas spurianas, composta da una formula onomastica bimembre riferibile a un etrusco abitante a Roma (araz presenta una affricata al posto dell’originaria dentale palatale, fenomeno comune fra le iscrizioni etrusche di area latina e falisca: Cristofani 1988, 16), il cui gentilizio deriverebbe dal toponimo della fenicia Sulcis, in Sardegna (ipotesi emessa da Colonna, ma non giustificabile linguisticamente: si vedano Cristofani 1987d; de Simone 1988, 33 s., nota 44). Il terzo nome, interpretato come secondo appositivo del titolare (de Simone; Prosdocimi; Colonna) o come patronimico (da un nome individuale Spuriana*), può piuttosto essere riferito a quello della gens legata al titolare dal rapporto di ospitalità (Cristofani 1987d; Coarelli 1988b) e, in tal caso, i partners andrebbero cercati a Tarquinia, dove il gentilizio è attestato in questa forma attorno al 530 a. C. (ThLe I, s.v.).

1.7 Coppa iscritta urn:collectio:0001:antcom:13530 dalle pendici del Campidoglio [Pag. 21]

Bucchero.

Altezza 5; Ø 15.

Da Roma, da un pozzo ai piedi del Campidoglio, presso il tempio di Saturno.

Roma, Antiquarium Comunale, inv. 13530.

Pallottino 1941, 101 ss.; Gjerstad 1960, 214-215; de Simone 1981b, 96; Prosdocimi 1983, 1xxiii; Steinbauer 1983, 217; Firenze 1985, 129, n. 5.5 (M. Cristofani); Colonna 1987a, 58-59; de Simone 1988, 31-32.

Coppa di forma carenata, assimilabile al tipo 1-2 di Rasmussen (1979, 124), diffusa nell’inoltrata seconda metà del VI secolo a. C. Presenta graffita all’esterno della vasca l’iscrizione etrusca di possesso ni araziia laraniia (“io (sono) di Arazai Laranai”). Anche quest’iscrizione, a parte lo scambio grafico iniziale di n per m, si inserisce nel novero dei documenti che attestano nell’etrusco parlato a Roma alcune varianti dialettali: oltre alla realizzazione di araz-, comune al testo precedente, si può registrare un uso precoce della sincope all’interno del gentilizio laraniia (derivato dal teonimo Laran, il Marte etrusco), che ci si attenderebbe espresso come laranaia*. L’eccezionalità della presenza di un gentilizio con morfema proprio del femminile, congruente con un nome individuale maschile, noto per altro a Volsinii, potrebbe far riconoscere anche in araziia una realizzazione egualmente sincopata di arazaia*, derivato da un nome femminile quale arazai* (si veda Rix, in Colonna 1987a, 67).

m. cr.

1.8. Frammento iscritto dal Capidoglio [Pag. 22]

Bucchero.

Ricomposto da due pezzi. Dimensioni 5,4 x 7.

Roma, Antiquarium Comunale.

Inedito.

E’ stato rinvenuto recentemente in Via del Campidoglio, sul lato sudoccidentale del Tabularium, in uno strato tardoarcaico, nel corso di uno scavo di prossima pubblicazione. Appartiene a una coppa di bucchero di un tipo studiato dal Rasmussen (1979, 124 ss., gruppo 27:21, fig. 248) databile nell’inoltrata seconda metà del VI secolo a. C. Sull’esterno rimangono dieci lettere graffite con direzione sinistrorsa, appartenenti a un più lungo testo:

[---]+enteisiua[---].

m. a.

La forma delle lettere, in particolare della n con i tratti paralleli e del t con traversa obliqua verso il basso, confermano la datazione in età tardoarcaica del pezzo: questa forma del t, in ambiente latino, si trova nella dedica lavinate ai Dioscuri (8.3.29) e, in ambiente etrusco-meridionale, in area ceretana (CIE 10452, 10467, 10489) e tarquiniese (CIE 10177). La direzione sinistrorsa della scrittura, normale in un testo etrusco, potrebbe apparire un arcaismo in ambito latino, in un momento in cui comincia a diffondersi la direzione destrorsa, ma ricorre ancora in una dedica importante come quella lavinate ora ricordata.

Ai fini di una interpretazione del testo va notato che la direzione della scrittura muta dopo la prima i, quasi che a questo punto si possa ipotizzare una cesura (se l’iscrizione circondava tutto il bacino esterno della coppa, qui si potrebbe porre l’inizio).

Se il primo segno frammentario può essere considerato la parte finale di un m potremmo guadagnare la sequenza [...]mentei la quale, se il testo è etrusco, potrebbe costituire la finale di un nome femminile in caso zero (tipo vesanvei) se, al contrario, è latino, potrebbe essere la finale di un dativo (come recei, Castorei, Podlouquei, Mamartei rispettivamente nelle iscrizioni del Foro, di Lavinio e di Satricum). La sequenza successiva non si presta a confronti adeguati per l’etrusco, mentre una divisione si ua--- potrebbe essere in effetti l’inizio di una formula introdotta da si “se” (si veda noisi, per nisi classico nel vaso di Duenos e l’inizio di molte prescrizioni nel linguaggio arcaizzante delle XII tavole). Se l’iscrizione è latina si può proporre per l’integrazione del nome [Car]mentei, richiamando quello di Carmentis (o Carmenta), la famosa ninfa, collegata con Evandro, il cui luogo di culto, per quanto connesso con il Campidoglio, viene localizzato alle pendici sudoccidentali del colle (si veda per tutta la letteratura connessa Enciclopedia virgiliana I, 1984, 667-669). Si avrebbe in tal caso un’interessante conferma dell’antichità del culto di questa divinità, già presente nel Calendario numano, legata alla divinazione (Serv. ad Aen. VIII, 336; sul nome Peruzzi 1978b, 50).

A prescindere da quest’ipotesi, il resto va inteso si ua[---]mentei.

ROMA

3. Il Foro e il Campidoglio: l’area pubblica e la rocca sacra

3.6 Materiali dal Campidoglio e dalle sue pendici [Pag. 68]

Roma, Antiquarium Comunale.

Le difficoltà che si presentano a chi tenta di affrontare lo studio dei materiali archeologici trovati sul Campidoglio sono di natura diversa e comunque assai complesse; per lo più sono da collegarsi agli eventi che si sono succeduti sul colle nei secoli che ci separano dal mondo antico: essi hanno violentemente cancellato le tracce del tessuto urbanistico del colle più importante del mondo. Quello che, forse, non è stato cancellato, giace, irraggiungibile, sotto gli edifici medievali e moderni.

D’altra parte il Campidoglio è stato oggetto di scavi sistematici fin dal primo Rinascimento, scavi eseguiti per recuperare materiale da utilizzare nella costruzione dei numerosi edifici che costituiscono la Roma moderna. Alcune di queste spoliazioni sono documentate (Lanciani 1902, 58 ss.), in particolare quelle relative alle strutture del tempio di Giove, immensa cava sfruttata per molti decenni. Se gli elementi marmorei dovevano essere i più ricercati, venivano smontate anche le meno pregiate strutture in tufo, destinate comunque ad essere utilizzate.

La fitta urbanizzazione che ha poi interessato le pendici e la sommità del colle ha continuato a saccheggiare il tessuto antico. Alla fine dell’Ottocento tutta Roma è stata sconvolta dal suo divenire Capitale: ne ha risentito anche il Campidoglio, una parte del quale è stata completamente divelta per la sistemazione del monumento a Vittorio Emanuele II. Le costruzioni di nuovi edifici e, poi, gli interventi di isolamento del colle con l’apertura di nuove vie d’accesso, nonostante i risultati ottenuti con importanti scoperte archeologiche, hanno ulteriormente contribuito a cancellare l’antico aspetto del colle.

Così oggi, perdute le tracce di quella che doveva essere la sua morfologia originale, non siamo in grado, generalmente, neanche di ricostruire l’antico piano di calpestìo, che doveva comunque essere caratterizzato da sensibili pendìi, generati dalle due vette che lo costituivano, l’Arce ed il Capitolium vero e proprio e dalla valletta interna dell’Asylum.

In tali condizioni, i pochi materiali relativi al periodo dei re etruschi, rinvenuti sporadicamente per lo più in occasione di sterri, non aggiungono molto a quanto si sa dalle fonti letterarie, e sono comunque di incerta lettura, avulsi come sono dal loro contesto stratigrafico. Così è per l’antefissa a testa femminile (n. 3.6.2), unica testimonianza fittile, insieme ad una testina più tarda, di un edificio precedente il tempio di Giunone Moneta, ignorato dalle fonti letterarie. Così è per la grande tegola di gronda (n. 3.6.3), rinvenuta in un cavo per la costruzione di una fogna e considerata l’unico resto della primitiva costruzione del tempio di Giove Capitolino (n. 3.7).

Più interessante ed unitario appare il deposito votivo trovato nel 1926-1927 (nn. 3.6.19-79) ancora tutto da studiare, però, in particolare nelle sue connessioni topografiche con le altre strutture messe in luce, nonchè con gli elementi di decorazione fittile architettonica rinvenuti nelle vicinanze.

Per quanto riguarda l’antefissa a testa di satiro (n. 3.6.1) infine, a torto considerata pertinente alla decorazione del tempio di Giove, se ne ribadisce la provenienza dalle pendici dell’Arce, presso il Clivius Argentarius.

1. Antefissa a testa di satiro urn:collectio:0001:antcom:16230

Terracotta.

Altezza conservata 17; larghezza conservata 13.

Inv. 16230.

Dalle pendici dell’Arce capitolina, presso la chiesa dei SS. Luca e Martina.

BullMusImpero Romano XII, 1941, (app. al BullCom LXIX, 1941), 91 s., fig. 9; Gjerstad 1960, 188 fig. 119, 1-2

Il frammento di antefissa conserva buona parte del volto di un satiro descritto secondo una tipologia nota in età tardo-arcaica, caratterizzata dalla capigliatura a calotta con corna di fiori e grappoli di uva, e da una lunga barba liscia con riccioli dipinti e baffi a rilievo (Cristofani 1987b, 116 fig. 30).

Alcune asimmetrie, riscontrabili nel naso, dalla narice sinistra molto più accentuata, e negli occhi, dei quali il sinistro risulta più sporgente ed obliquo, stupiscono in un esemplare tanto raffinato, sia nel disegno sia nel modellato; sembrano piuttosto indicare un punto di vista privilegiato in basso, alla sinistra dell’antefissa, punto dal quale tali asimmetrie si compongono e regolarizzano. L’antefissa è stata rinvenuta nell’estremità della propaggine dell’Arce che si prolunga verso il Foro insieme a materiali votivi e ad un’antefissa a testa di sileno di età ellenistica.

Primi decenni del V secolo a.C.

2. Antefissa a testa femminile

Terracotta.

Altezza conservata 22; larghezza conservata 17,5.

Inv. MC 1226.

Dall’Arce Capitolina, orto dell’Aracoeli, 1876.

Andrèn 1940, 342 I:4, tav. 103, 369; Gjerstad 1960, 204 s., fig. 129; Giannelli 1982, 17 con bibliografia precedente.

L’antefissa, nota fin dalla fine del secolo scorso, è sempre stata apprezzata per la finezza del volto allungato e pieno, degli occhi lievemente a mandorla, della bocca dalle labbra sottili e gli angoli appena sollevati. Il colore, in gran parte evanido, doveva sottolineare i lineamenti, campire gli occhi e decorare il diadema ed i capelli ripartiti in ciocche sulla fronte. E’ stata riferita ad un tipo ceretano caratterizzato da capigliatura simile e diadema, inquadrabile negli ultimi decenni del VI secolo (in particolare Andrén 1940: Caere II: llc tav. 9 n. 30; Riis 1981, 25, 6A antefissa Aracoeli, 7A da Caere). Nelle antefisse di questo tipo soltanto il diadema sporge al di sopra del coppo, che inizia immediatamente dietro il volto. Come coppo è stato quindi sempre considerato quello che rimane della parte posteriore dell’esemplare dell’Aracoeli; pur nella sua frammentarietà, però, questo sembra presentare una sensibile curvatura, sia nella sommità che nei lati, improbabile in un coppo. E’ forse allora da riconoscere, nella parte posteriore rimasta, un’acconciatura a cuffia così come si vede in un altro tipo di antefissa, noto nel Lazio in un certo numero di esemplari (Pensabene-Sanzi Di Mino 1983, 51 tipo 3; Cristofani 1987b, 99; Cristofani 1987c). Nelle antefisse di questo tipo è appunto tutta la testa, chiusa nella cuffia, a superare la sommità del coppo.

L’esemplare dell’Aracoeli, trovato a notevole profondità ed in stretta connessione con la struttura in cappellaccio presente sull’Arce, già identificata come Auguraculum, costituisce l’unica testimonianza di un edificio sacro di età arcaica sull’Arce, in contrasto con quanto attestato dalle fonti letterarie, che non sembrano indicare altri prima della costruzione del tempio di Giunone Moneta, dedicato nel 344 a. C. (sul problema, molto complesso: Giannelli 1982).

3. Tegola di gronda

Terracotta.

Lunghezza conservata 67,3; larghezza 63.

Inv. MC 2178.

Da via di Monte Tarpeo, 1878.

Gjerstad 1960, 189, fig. 120, 1; Colonna 1985a, 70, 4.2

La tegola conservata per circa due terzi della lunghezza è decorata, nella parte inferiore visibile, sporgente per 37 centimetri dal tetto, da una fascia con doppio meandro continuo rosso, nero e bianco. All’estremità della decorazione due piccoli incassi a coda di rondine suggeriscono l’innesto con gli elementi della cortina pendula. Nella parte superiore rimangono le impronte degli elementi che bloccavano il coppo (vedi disegno ricostruttivo dell’angolo anteriore destro del tempio B di Pyrgi, in Arezzo 1985, 132, 7.1c). Le proporzioni, molto notevoli (Andrén 1940, CLII, nota 3), sono da confrontarsi con quelle delle tegole relative al grande coppo di colmo dell’Esquilino (n. 10.1.5), la larghezza delle quali, deducibile dalla distanza degli inviti dei coppi, risulta di cm. 62. La tegola è generalmente considerata relativa al tempio di Giove Capitolino.

4. Lastra di rivestimento con fregio urn:collectio:0001:antcom:20099 zoomorfo

Terracotta.

Altezza conservata 9,5; larghezza 11.

Inv. 20099.

Dal Campidoglio, sporadico.

Il frammento conserva l’angolo superiore destro di una lastra con fregio zoomorfo caratterizzata da fascia liscia superiore già dipinta con disegno ad ovoli in rosso, ora evanido. Della colorazione in basso rilievo rimane solo la testa di un felino in posizione frontale. Foro di chiodo in alto, vicino all’orecchio.

Gjerstad 1960, 202, fig, 127 n. 8.

Secondo quarto del VI secolo (Cristofani 1987b, 95 s.).

5. Lastra di rivestimento con fregio urn:collectio:0001:antcom:20100 zoomorfo

Terracotta.

Frammentario; altezza 5; larghezza 8.

Inv. 20100.

Dal Campidoglio, sporadico.

Il frammento conserva parte delle due zampe anteriori di un felino procedente verso destra.

Gjerstad 1960, 202, fig. 127 n. 9.

Secondo quarto del VI secolo (Cristofani 1987b, 95 s.).

Versante meridionale

Negli anni 1926-1927, per la costruzione di alcuni edifici da utilizzare come sedi di uffici comunali (Ragioneria, Tesoreria), nell’area compresa tra la via Monte Tarpeo e via del Campidoglio, sono stati abbattuti edifici preesistenti ed eseguiti sterri. I lavori hanno messo in luce una situazione archeologica assai frammentaria e molto compromessa dalle precedenti costruzioni (Colini 1927). Il tipo di lavoro eseguito in quegli anni non ha permesso un’adeguata documentazione ed è pertanto compito assai arduo, in mancanza di una esaustiva pubblicazione, tentare di ordinare le testimonianze archeologiche rimaste, alla luce degli appunti disponibili e sullo sfondo di una situazione topografica molto complessa.

Relativa al periodo cronologico oggetto della mostra, si espone una scelta di materiali pertinenti ad un deposito votivo ed alcuni frammenti di decorazione fittile architettonica.

In parte coperto da una pavimentazione a lastroni di tufo, sulla quale poggiano i resti di un pilone anch’esso in tufo, è stato individuato un deposito votivo del quale non è stato possibile definire i limiti topografici in quanto tagliato da interventi successivi; buona parte di esso inoltre giace ancora al di sotto del pilone ricordato.

Nell’ambito del più ampio quadro offerto dai coevi depositi votivi romani (nn. 3.1, 3.5, 5.2), si sottolinea la consistente presenza, in questo, delle cosiddette “focacce”, dischi di impasto di diametro variabile tra i due e i venti centimetri, caratterizzate da numerose cavità superficiali, della larghezza punta di un dito. Tra gli esemplari del deposito alcune sono piatte, altre convesse, altre ancora con il brodo rilevato. Probabilmente alla medesima categoria di oggetti va accostato il vaso miniaturistico a undici bocche, forse riproduzione di vasi composti, destinati a contenere offerte differenziate di cibi e bevande (Ampolo in Roma 1976, 364: deposito votivo di Cassino, nn. 14-19; De Palma 1981, 40, A 77: Tivoli, deposito votivo in località Acquoria). Si segnalano inoltre i due fornelli miniaturistici ben caratterizzati nella piastra forata, nelle pareti svasate con ampia apertura e “prese d’aria” laterali (Scheffer 1981, tipo A, 41). Più comuni altre forme di miniaturistici d’impasto che vanno dalle ollette a bocca rientrante a quelle con orlo svasato, alle scodelle. Tra i buccheri non mancano i consueti attingitoi, le coppette, le patere ombelicate. Ancora relativi al periodo dei re etruschi a Roma, gli alabastra etrusco-corinzi a figure nere e con cani correnti.

I frammenti fittili architettonici, rinvenuti per lo più sporadicamente nell’avanzamento degli scavi ed elencati in quegli anni (Colini, Inventario..., catalogo manoscritto), appartengono a diverse tipologie decorative riferibili a momenti successivi. Gran parte del materiale è stato rinvenuto nell’area dell’attuale cortile dell’Avvocatura. Particolarmente interessanti appaiono i primi quattro frammenti rinvenuti negli “strati più profondi”: essi risultano infatti essere i più antichi e il primo di essi costituisce un ottimo confronto per gli altri due frammenti analoghi dal Campidoglio (nn. 3.6.5-6). Altri frammenti relativi ai primi decenni del V secolo mostrano forti analogie con la decorazione architettonica del secondo tempio di Satricum. Pur nella loro frammentarietà, i pezzi presentano generalmente un alto livello qualitativo riscontrabile nella precisione dell’esecuzione dei dettagli, nella finezza della resa coloristica, purtroppo non sempre conservata.

La vicinanza del luogo di rinvenimento e l’analoga fase decorativa permettono di accostare, in via puramente ipotetica, al gruppo già citato altri elementi di decorazione architettonica trovati in anni diversi. Nel 1878, in un cavo di fogna in via di Monte Tarpeo, a settanta centimetri di profondità, si rinvenne la grande tegola di gronda decorata (n. 3.6.3) generalmente attribuita al tempio di Giove Capitolino. Via di Monte Tarpeo, nel 1878, doveva essere il tratto di strada che dalla Consolazione saliva sul colle per ricongiungersi con via del Campidoglio e via di Monte Caprino. Il rinvenimento sarebbe avvenuto quindi a circa settanta metri di distanza dal tempio di Giove, ma molto vicino alla zona poi indagata dal Colini: ancora in quegli anni, proprio in via di Monte Tarpeo, in un cavo superficiale, venne recuperato un altro frammento di terracotta arcaica (n. 46 dell’inventario Colini). Scavi nella stessa zona, effettuati per lavori edilizi nel 1896 hanno inoltre restituito un frammento di grande palmetta, forse acroteriale (Gatti 1896, 119 tav. XIII, 4), da tempo perduta.

In mancanza di strutture architettoniche alle quali poter attribuire con certezza gli elementi della decorazione fittile ed in considerazione dei numerosi edifici che già in età arcaica dovevano esistere sul Campidoglio, risulta difficile attribuire i frammenti ad un unico edificio. E’ certo, comunque, che la zona indagata negli anni 1926-1927, situata a metà altezza sul versante sud-orientale del Capitolium, protetta a nord-ovest da questo e aperta a sud-est verso il Foro ed il Palatino, doveva ben prestarsi all’insediamento di un luogo di culto e il deposito votivo rinvenuto lo conferma (Colonna 1984a, 401; Cristofani 1987b, 96).

Frammenti di decorazione architettonica urn:collectio:0001:antcom:17452

6. Lastra di rivestimento con fregio zoomorfo

Terracotta.

Altezza conservata 8; larghezza conservata 8.

Inv. 17452.

Il frammento conserva l’angolo sinistro basso di una lastra con fregio zoomorfo caratterizzata da fascia liscia inferiore decorata da motivo ad ovoli dipinti in rosso. Del fregio rimane solo una zampa anteriore del felino procedente verso sinistra. Inedito.

La lastra alla quale apparteneva il frammento è riconducibile ad una tipologia ben nota in Roma nel secondo quarto del VI secolo a. C. (Cristofani 1987b, 95 s.).

7. Lastra di rivestimento urn:collectio:0001:antcom:20089 con corsa di coppie di cavalieri

Terracotta.

Altezza conservata 12,8; larghezza conservata 15,6.

Inv. 20089.

Il frammento conserva parte della cornice superiore a baccellature concave posta sopra il fregio figurato, di cui rimane soltanto una mano che impugna la spada: appartiene ai tipi attestati a Velletri (Fortunati 1988, fig. 8b).

Gjerstad 1960, 202, fig. 127, n. 5; Muñoz-Colini 1931, 12, fig. 8.

Un foro passante verticale è probabilmente funzionale all’adesione con la sovrastante sima o tegola di gronda. Ultimo trentennio del VI secolo a. C.

8. Lastra di rivestimento urn:collectio:0001:antcom:20088 con corsa di bighe

Terracotta.

Frammentario; altezza 11; larghezza 9,2.

Inv. 20088.

Gjerstad 1960, 202, fig. 127, n. 7; Muñoz-Colini 1931, 12, fig. 8.

Il frammento conserva le zampe posteriori di due cavalli attaccati ad un cocchio. La posizione piegata delle zampe suggerisce il moto veloce così come nelle lastre del tempio di Velletri al Museo di Napoli (n. 8.6.1-5).

Ultimo trentennio del VI secolo.

9. Sima urn:collectio:0001:antcom:20090

Terracotta.

Frammentario; altezza 15,5; larghezza 13,2.

Inv. 20090.

Frammento di una sima a baccellature concave; sulla destra taglio curvilineo per l’alloggiamento del coppo.

Gjerstad 1960, 202, fig. 127, n. 6; Muñoz-Colini 1931, 12, fig. 8.

Ultimo trentennio del VI secolo.

10. Antefissa a palmetta nimbata urn:collectio:0001:antcom:20094

Terracotta.

Frammentario; altezza 10; larghezza 17.

Inv. 20094.

E’ conservata solo una parte con l’attacco del coppo sul retro; è decorata da una palmetta a sette petali eretta e circondata da nimbo ad ovoli, con policromia in rosso e nero.

Gjerstad 1960, 202, fig. 127, n.1.

Se lo schema della palmetta eretta e priva della banda a volute risale e a modelli più antichi (Knoop 1987, 139, fig. 96 n. 4), il disegno a petali disgiunti e profilati trova confronti nella decorazione fittile di fino VI secolo (Cristofani 1987b, 101 fig. 27).

11. Antefissa con coppia di satiro urn:collectio:0001:antcom:20097 e menade

Terracotta.

Frammentario; altezza 14,3; larghezza 18.

Inv. 20097.

Gjerstad 1960, 202, fig. 127, n. 2.

Lo schema delle due figure è probabilmente da ricostruirsi come variante del tipo satricano (n. 9.6.72) con satiro dietro alla menade, mano destra sul seno di questa, mano sinistra con serpente. Il satiro del frammento del Campidoglio ha invece il braccio sinistro piegato sopra il braccio della menade e la mano tesa al suo seno. La menade è coperta da un mantello bianco decorato, come la tunica, a pallini rossi e neri. In nero sono anche evidenziate le unghie del satiro ed i muscoli del suo braccio. Primi decenni del V secolo a. C.

12. Lastra di rivestimento con anthemion urn:collectio:0001:antcom:20093

Terracotta.

Altezza conservata 29,2; larghezza 15.

Inv. 20093.

Il frammento conserva parte della decorazione a palmette pendenti dall’incontro di archetti, alternate a bocci e fiori di loto.

Gjerstad 1960, 202, fig. 128, n. 1; Muñoz-Colini 1931, 11, fig. 17.

Il tipo di lastra, presente a Satricum nella decorazione del tempio di seconda fase, prevede un coronamento costituito probabilmente da fascia liscia e baccellature. Si propone pertanto l’accostamento ad un frammento di coronamento a baccellature concave rinvenuto negli stessi scavi, che presenta analoghe caratteristiche tecniche e cromatiche (3.6.13). L’esemplare del Campidoglio si distingue per l’esecuzione dettagliata dei sottosquadri dei nastri ad arco, delle frecce che separano questi ultimi, nella definizione del bottone e del calice stilizzato, elementi che collegano il boccio con il sovrastante fiore di loto. Primi decenni del V secolo.

13. Coronamento a baccellature concave urn:collectio:0001:antcom:20086

Terracotta.

Frammentario; altezza 8; larghezza 17.

Inv. 20086.

La parte superiore curva delle baccellature e quella interna sono dipinte alternativamente in nero e rosso, tranne una fascia risparmiata al centro.

Gjerstad 1960, 202, fig. 127, n. 3.

14. Cortina traforata urn:collectio:0001:antcom:20095

Terracotta.

Frammentario; altezza 14; larghezza 12,5.

Inv. 20095.

Gjerstad 1960, 202, fig. 127, n. 4.

Si conserva solo una palmetta di coronamento di una cortina traforata costituita probabilmente da due ordini di archetti intrecciati legati da fasce: cortine di questo tipo sono presenti a Satricum (Andrén 1940, II, 24, tav. 125, 517). Con un unico colore bruno sono sottolineati i contorni dei petali ed i limiti degli archetti e delle fasce. Primi decenni del V secolo.

15. Cortina pendula urn:collectio:0001:antcom:20092

Terracotta.

Altezza conservata 13,5; larghezza 8,2.

Inv. 20092.

Il frammento conserva parte della decorazione consistente in palmette pendule alternate a fiori di loto su bocci, in campo nero. Il margine inferiore della lastra segue il profilo degli elementi vegetali mentre in quello superiore, piatto, si apre un profondo incasso per l’innesto con la regola di gronda.

Gjerstad 1960, 202, fig. 128, n. 3.

16.Cortina pendula urn:collectio:0001:antcom:17461

Terracotta.

Frammentario; altezza 11; larghezza 9.

Inv. 17461.

Il frammento è limitato a parte di una palmetta che ha mantenuto l’originario colore dei petali, rossi e neri su fondo scuro.

Inedito.

17. Cortina pendula urn:collectio:0001:antcom:20091

Terracotta.

Frammentario; altezza 7,6; larghezza 8.

Inv. 20091.

Si conserva una palmetta e parte di un fiore di loto. Lo schema decorativo è simile ai precedenti ma con diversa articolazione della palmetta che, in questo caso, si presenta più aperta e con i petali disgiunti. Margine superiore liscio con segno di incasso.

Gjerstad 1960, 202, fig. 128, n. 4.

18. Cortina pendula urn:collectio:0001:antcom:20091bis

Terracotta.

Frammentario; altezza 9; larghezza 12,5.

Inv. 20091 bis.

Si conserva un fiore di loto e parte di una palmetta; schema decorativo simile al precedente.

Gjerstad 1960, 202, fig. 128, n. 5

Materiale del deposito votivo

IMPASTO

19. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19099

Ø 20,5.

Inv. 19099.

Disco piatto di forma ovale con sessanta cavità superficiali, delle quali due contenevano due anellini di bronzo.

Gjerstad 1960, 125, fig. 125 n.9; Roma 1976, 146, tav. XVII, 10.

20. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19098

Ø 16,2.

Inv. 19098.

Disco lievemente convesso, trenta cavità.

Roma 1976, 146, tav. XVII, 10.

21. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19100

Ø 15.

Inv. 19100.

Disco ad orlo rialzato; trentatrè cavità.

Gjerstad 1960, 195, fig. 125 n.8; Roma 1976, 146, tav. XVII, 10.

22. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19142

Ø 12,3.

Inv. 19142.

Disco piatto, numerose cavità.

Gjerstad 1960, 195, fig. 125 n. 6.

23. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19167

Ø 8. Inv. 19167. c.s.

24. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19102

Ø 7,5.

Inv. 19102.

c.s.

Gjerstad 1960, 195, fig. 125 n. 3.

25. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19101

Ø 6,3.

Inv. 19101.

c.s.

Gjerstad 1960, 195, fig. 125 n. 4

26. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19166

Ø 4,5. Inv. 19166. c.s.

27. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19140

Ø 4,1.

Inv. 19140.

c.s.

28. Focaccia urn:collectio:0001:antcom:19205

Ø 2,6.

Inv. 19205.

Disco piatto senza cavità.

29. Vaso multiplo urn:collectio:0001:antcom:19103

Ø 13,4; altezza 3,5.

Inv. 19103.

Il disco presenta undici bocche rilevate.

Gjerstad 1960, 195, fig. 125 n. 10; Roma 1976, 146, tav. XVII, 10.

30. Scodella ad orlo rientrante urn:collectio:0001:antcom:19110

Ø 5; altezza 3,4.

Inv. 19110.

Gjerstad 1960, 194, fig. 124, 25.

31. Scodella a pareti svasate urn:collectio:0001:antcom:19197

Ø 2,7; altezza 2.

Inv. 19197.

32. Olla ovoide ad orlo rientrante urn:collectio:0001:antcom:19109

Ø 3; altezza 5.

Inv. 19109.

Gjerstad 1960, 192, fig. 124 n. 31.

33. Olla Ovoide urn:collectio:0001:antcom:19181

Ø 3; altezza 3,8.

Inv. 19181.

Gjerstad 1960, 194, fig. 124 n. 27.

34. Olla a corpo compresso urn:collectio:0001:antcom:19111

Ø 2,5; altezza 2,8.

Inv. 19111.

Gjerstad 1960, 194, fig. 124 n. 34.

35. Olla ovoide a labbro svasato urn:collectio:0001:antcom:19214

Ø 3,6; altezza 4,8.

Inv. 19214.

Tre prese sulle spalle.

Gjerstad 1960, 194, fig. 124 n. 30.

36. Olla a labbro svasato urn:collectio:0001:antcom:19107

Ø 6,4; altezza 4,5.

Inv. 19107.

Gjerstad 1960, 195, fig. 124, 33; Roma 1976, 146, tav. XVII 14.

37. Fornello urn:collectio:0001:antcom:19129

Altezza 4,1.

Inv. 19129.

Piano forato concavo, sostegno con apertura centrale e piccole aperture laterali.

Gjerstad 1960, 195, fig. 124 n. 38.

38. Fornello urn:collectio:0001:antcom:19217

Altezza 2,2.

Inv. 19217.

39. Peso da telaio urn:collectio:0001:antcom:19193

Altezza 5.

Inv. 19193.

40. Pisside urn:collectio:0001:antcom:19106

Altezza 4,8; Ø 6.

Inv. 19106.

Labbro verticale.

Gjerstad 1960, 194, fig. 124 n. 32.

41. Pisside urn:collectio:0001:antcom:19139

Ø 5,1; altezza 4,6.

Inv. 19139.

Labbro verticale.

BUCCHERO

42. Kyathos urn:collectio:0001:antcom:19185

Ø 4,7.

Inv. 19185.

43. Kyathos urn:collectio:0001:antcom:19210

Ø 5,8.

Inv. 19210.

44. Kyathos urn:collectio:0001:antcom:19096

Ø 4,6.

Inv. 19096.

45. Kyathos urn:collectio:0001:antcom:19097

Ø 5,3.

Inv. 19097.

46. Kyathos urn:collectio:0001:antcom:19095

Ø 5,3.

Inv. 19095.

47. Coppetta urn:collectio:0001:antcom:19092

Ø 8,4.

Inv. 19092.

Profilo continuo, basso piede.

Gjerstad 1960, fig. 124, n. 7.

48. Coppetta urn:collectio:0001:antcom:19093

Ø 9.

Inv. 19093.

c.s.

Gjerstad 1960, 192, fig. 124, n.8.

49. Coppetta urn:collectio:0001:antcom:19091

Ø 8,4.

Inv. 19091.

Vasca carenata e orlo sagomato.

Gjerstad 1960, fig. 124, n 10.

50. Coppetta urn:collectio:0001:antcom:19090

Ø 8,4.

Inv. 19090.

c.s.

Gjerstad 1960, fig. 124, n. 9.

51. Coppetta urn:collectio:0001:antcom:19089

Ø 9,3.

Inv. 19089.

c.s.

Gjerstad 1960, fig. 124, n. 11.

52. Coppetta urn:collectio:0001:antcom:19088

Ø 9,2.

Inv. 19088.

c.s.

Gjerstad 1960, fig. 124, n. 12.

53. Patera urn:collectio:0001:antcom:19086

Ø 9,5.

Inv. 19086.

Gjerstad 1960, fig. 124, n. 5.

54. Patera urn:collectio:0001:antcom:19083

Ø 11,7.

Inv. 19083.

Gjerstad 1960, fig. 124, n. 1.

55. Patera urn:collectio:0001:antcom:19134

Ø 8,7.

Inv. 19134.

Gjerstad 1960, fig. 124, n. 6.

ARGILLA ACROMA

56. Ciotola urn:collectio:0001:antcom:19135

Ø 8.

Inv. 19135.

Priva di piede, orlo rientrante.

Gjerstad 1960, 194, fig. 124, n. 18.

CERAMICA ETRUSCO-CORINZIA

57. Alabastron a fondo piatto urn:collectio:0001:antcom:19060

Altezza 15,3.

Inv. 19060.

Gjerstad 1960, 193, fig. 124, 19; Roma 1976, 146, tav. XVII, 2.

Ansa a nostro impostata su colletto; decorazione dipinta a fasce rosse e violette. Forma 56b (Ampolo 1980, 182). Fine VII-inizi VI secolo a. C.

58. Alabastron a fondo piatto urn:collectio:0001:antcom:19062

Altezza 16.

Inv. 19062.

Ansa a nastro impostata su colletto. Decorazione dipinta a fasce e cani correnti. Forma c.s.

Gjerstad 1960, 193, fig. 124, 20; Roma 1976, 146, tav. XVII, 3.

59. Alabastron piriforme urn:collectio:0001:antcom:19061

Altezza 16.

Inv. 19061.

Gjerstad 1960, 193, fig. 124, 21; Roma 1976, 146, tav. XVII, 1.

Colletto all’attacco dell’ansa, perduta. Decorazione dipinta a fasce, pallini e cani correnti. Forma 56a (Ampolo 1980, 182). Per esemplari con decorazione analoga nel deposito votivo di S. Omobono: Roma 1989a, 49, fig. 18.

60. Alabastron a figure nere urn:collectio:0001:antcom:19063

Altezza conservata 11.

Inv. 19063.

Gjerstad 1960, 123, fig. 124, 22; Roma 1976, 146, tav. XVII, 4.

L’alabastron, ad ansa forata, è decorato da due galli affrontati e da un grande uccello ad ali spiegate; il fondo è campito da rosette. In un analogo esemplare da S. Omobono, attribuito al ciclo dei Galli Affrontati, le figure si dispongono su due registri sovrapposti (Roma 1981a, 136 C 28). Seconda metà del VI secolo.

BRONZI

61-78. 18 figurine di lamina urn:collectio:0001:antcom:19064 di bronzo

Altezza da 2,3 a 3,6.

Inv. 19064-19065 urn:collectio:0001:antcom:19065 -19066 urn:collectio:0001:antcom:19066 -19067 urn:collectio:0001:antcom:19067 -19068 urn:collectio:0001:antcom:19068 -19069- urn:collectio:0001:antcom:19069 19070 urn:collectio:0001:antcom:19070 -19071 urn:collectio:0001:antcom:19071 -19072 urn:collectio:0001:antcom:19072 -19073 urn:collectio:0001:antcom:19073 -19074 urn:collectio:0001:antcom:19074 -19075 urn:collectio:0001:antcom:19075 -19076 urn:collectio:0001:antcom:19076 -19077 urn:collectio:0001:antcom:19077 -19078 urn:collectio:0001:antcom:19078 -19079 urn:collectio:0001:antcom:19079 -19080 urn:collectio:0001:antcom:19080 -19081. urn:collectio:0001:antcom:19081

Gjerstad 1960, 195, fig. 126; Colonna 1970, 107 n. 326.

Le figurine sono ritagliate in maniera molto approssimativa da una lamina di bronzo: vi è accennato il profilo del capo, delle braccia, delle gambe; la caratterizzazione del sesso maschile è affidata ad una linguetta tra le gambe, presente in almeno otto esemplari.

Figurine simili sono presenti in altri depositi votivi laziali e, a Roma, in quello di S. Omobono (Roma 1981a, C 66 148 s.) dove una è ritagliata su lamina d’oro (Roma 1989a, 51, fig. 21).

m. a.

5. Il Foro Boario e le attività produttive

5.1. Terrecotte architettoniche [Pag. 119]

Roma, Antiquarium Comunale (tranne il n. 21: area sacra di S. Omobono)

GRUPPI SCULTOREI

1. Gruppo statuario di Eracle e Atena (tav. IX.)

a. Eracle urn:collectio:0001:antcom:16160

Argilla beige, ricca d’inclusi augitici, con tracce di vernice rossa nelle parti nude.

Altezza originaria ca. 145-150; altezza della parte conservata del torso 78; larghezza alle spalle 44; spessore max 2,4.

Invv. 16160, 16163 urn:collectio:0001:antcom:16163 , 16167 urn:collectio:0001:antcom:16167 , 14914. urn:collectio:0001:antcom:14914

L’eroe stante gravita sulla gamba sinistra, portata in avanti nell’atto di incedere, accompagnata dal movimento della spalla corrispondente. Il braccio sinistro, portato lungo il fianco, doveva verosimilmente avere la mano vuota; il braccio destro invece (conservato fino metà bicipite), per l’assenza di punti di contatto sul fianco, doveva probabilmente essere piegato al gomito e portato in avanti a sostenere un oggetto (la clava o forse l’arco con le frecce).

Eracle indossa una corta tunica sulla quale è posta la leontè, che coprendogli il capo (di cui si è individuato un nuovo frammento relativo alla parte sinistra del collo), ne avvolge le spalle ed il petto: al centro sono annodate le zampe anteriori plasticamente rilevate. La pelle scende lungo il corpo piatta e aderente; le zampe posteriori si dispongono lungo le cosce. Le gambe (alla sinistra va aggiunto un frammento relativo al polpaccio) ed il piede sinistro conservato, lasciati nudi, hanno ricevuto un accenno di caratterizzazione anatomica nella definizione del quadricipite femorale e della rotula.

Sui fianchi, al di sopra della leontè, è posto una sorta di cinturone-corazza, affibbiato sul davanti. L’eroe risulta intimamente connesso con la figura di Atena, alla quale aderisce certamente con il braccio sinistro e con la quale divide la stessa base di appoggio (su di essa tra le due figure può notarsi un grosso foro da ritenere, più che uno scolo per le acque pluviali, la sede di un perno ligneo per il fissaggio del gruppo).

b. Atena urn:collectio:0001:antcom:16161

Argilla beige, ricca d’inclusi augitici. Tracce di vernice bruna sui capelli.

Altezza originaria ca. 150; altezza della parte superiore conservata 66; la sola testa con l’elmo 33; altezza della parte inferiore (compresa la lastra di base) 34,5. Spessore max 2,4.

Inv. 16161, 16117 urn:collectio:0001:antcom:16117 , 14194 urn:collectio:0001:antcom:14194 , 15857 urn:collectio:0001:antcom:15857 .

Si conserva frammentaria la parte superiore della figura con la testa coperta da un elmo ionico. Esso, caratterizzato da una calotta sferica, sviluppantesi in un ampio paranuca a bordo rovesciato, presenta un cimiero predisposto a ricevere nella scanalatura mediana un alto lophos (forse di materiale diverso), fissato da perni passanti. Un sostegno, probabilmente figurato, era collocato sul davanti. Le paragnatidi sono di tipo fisso (Colonna 1987b, 15, note 19, 20, 23). La dea veste un lungo chitone ed un mantello pieghettato (evidente nella parte inferiore del corpo); porta i capelli lunghi, che fuoriuscendo dall’elmo ricadono sulle spalle a formare un geometrico riquadro.

Si conserva un frammento della parte inferiore panneggiata con il piede destro calzato, nonchè numerosi frammenti della base, che si ricollegano al piede sinistro della statua di Eracle. Il braccio destro, aderente al braccio sinistro di Eracle, portava in avanti la mano stretta a pugno a sorreggere verosimilmente la lancia. Al braccio sinistro è stato attribuito un frammento interpretato come parte di una mano sinistra stringente l’antilabé di uno scudo (di cui sono stati individuati alcuni frammenti decorati da un motivo a palmetta dipinto: Sommella Mura 1977a, 114, fig. 40).

Un altro frammento, identificato con parte del panneggio, va collocato subito sotto il ginocchio destro della figura (Sommella Mura 1977a, fig. 39). La figura così ricomposta risulta gravitante sulla gamba destra, avendo la sinistra arretrata probabilmente di poco.

Atena risulta leggermente in secondo piano rispetto ad Eracle, al quale con il braccio destro fa quasi da sostegno. Una leggera torsione le anima il corpo, convergendo la testa ed il busto verso l’eroe. Alcune asimmetrie della testa (maggiore obliquità dell’occhio sinistro, leggero rialzamento del lato sinistro della bocca, sopravanzamento della paragnatide sinistra), da interpretare quali correzioni ottiche, possono così trovare spiegazione, permettendo una ottimale visione del gruppo e evidenziando tra i due personaggi una velata prevalenza da parte dell’Eracle.

Dai frammenti in nostro possesso non è dato conoscere se la dea, oltre l’elmo, lo scudo e la lancia, indossasse una corazza o un semplice gorgoneion.

c. Basamento del gruppo urn:collectio:0001:antcom:15853

Argilla beige-rosa, ricca d’inclusi augitici; policromia in rosso, bianco e nero.

Lunghezza ricostruibile ca. 95; larghezza ricostruibile ca. 50; altezza max 19,5; lunghezza max 38,5; larghezza max 39,5.

Inv. 15853.

Basamento di forma grosso modo semicircolare ripartito sulla fronte stondata in listello di base, toro rigonfio decorato da un motivo “a squame”, composto da sette file sovrapposte e sfalsate di semicerchi, dipinti secondo un andamento diagonale in nero, bianco e rosso; infine un basso cannello dipinto in nero in aggetto con la parte superiore non conservata. Il lato lungo conservato è diritto e forma un angolo retto con la base di appoggio. Interpretato come base di un acroterio (Gjerstad 1960, 448, fig. 281, 1) è stato connesso, pur mancando un attacco sicuro, al gruppo di Eracle ed Atena.

Colini 1938, 281, fig. 27; Gjerstad 1960, 452-456, figg. 283-286; Gjerstad 1962, 82, fig. 19, 5-7; Helbig 1966, 577 ss.; Gjerstad 1966, 452, figg. 126 e 127; Sommella Mura 1977a, 99-114, figg. 24, 25, 41-44; Sommella Mura 1997b, 3 ss.; Sommella Mura 1981a, 122; Sommella Mura 1981b; Cristofani 1977, 4, fig. 10; Cristofani 1990.

I personaggi costituenti il gruppo, comunemente identificati con Eracle ed Atena (Sommella Mura 1977a, 99-101; Ampolo 1981b, 36, Ampolo 1981c; d’opinione contraria Coarelli 1981a; Coarelli 1981b; Coarelli 1988a, 301-328, ove si propende per la figura femminile per Hera/Aphrodite, da collegare al culto di Fortuna e Mater Matuta; Cristofani 1977, 4, che, prima dell’avvenuto attacco con Eracle, pensa a Fortuna Virilis; Cristofani 1981, 193, nota 20), sono rappresentati secondo una foggia greco-orientale. In particolare per l’Eracle si sono visti contatti con l’iconografia dell’eroe nota a Cipro ed in area ionico-cipriota, che trova diffusione anche in Etruria in una serie di bronzetti tardo-arcaici (Borda 1946-1947; Cristofani 1977; Sophocleus 1985, 76-83, tavv. V-X, XII, XLII, 4). Il tipo è del resto non inconsueto nella coroplastica etrusca, ricorrendo nel torso di Eracle dal tempio di Portonaccio a Veio, dove la leonté si dispone intorno ai fianchi a formare una sorta di cinturone-corpetto, del tutto simile allo schema rappresentativo adottato per l’Eracle di S. Omobono (Pallottino 1950, 122 ss.; Pallottino in EAA s.v. Vulca, 1206 ss., fig. 1351; Colonna 1987b, 27, fig. 59). Del resto la sovrapposizione di corto chitone, leonté e corazza si ritrova con una certa frequenza nell’iconografia di Eracle, rappresentato come arciere (per una esemplificazione J. Boardman et al. in LIMC IV, 1-2, s.v. Herakles, 735, n. 40; 736, nn. 45 e 48; 737, n. 73).

L’iconografia di Atena, indossante l’elmo ionico dall’altissimo lophos, ed imbracciante lo scudo portato alto a protezione della parte superiore del corpo, risulta diffusissima nelle raffigurazioni della dea in età arcaica tanto nella coroplastica che nella pittura vascolare (per alcuni esempi P. Demargne in LIMC II, 1-2, s.v. Athena, 959, n. 20; 960, n. 29; 962, n. 40), in particolare quando è rappresentata come Palladion (LIMC cit., nn. 68, 70, 73, 93, 103), o come Promachos (LIMC cit., nn. 118, 119, 121, 128).

Stilisticamente i confronti più stringenti si riscontrano con una testa femminile elmata dal santuario di Portonaccio a Veio, con le teste delle antefisse “tipo Velletri”, e più generalmente con la scultura “samia”, dovendosi riferire all’area ionica, e più specificatamente a Samos, i prototipi iconografici e stilistici che hanno ispirato la produzione di queste sculture in terracotta (Cristofani 1977, 3 ss.). Se sicura comunque appare l’influenza dell’arte greco-orientale, non è certa l’attribuzione del gruppo a maestranze greche, anche per un tipo di lavorazione corsiva e certo non qualitativamente paragonabile alla coeva produzione coroplastica greca (Sommella Mura 1977a, 122 ss.; Cristofani 1981, 193, nota 20).

Accettata l’identificazione della dea armata con Atena, diventa verosimile l’individuazione del mito rappresentato come “introduzione di Eracle all’Olimpo”, secondo un’iconografia ben nota e diffusa nell’arte greca arcaica e classica (il mito è raccontato in Paus, 3, 18, 11; 19, 5; per alcuni confronti LIMC, cit., 994 s., nn. 428-444), che trova un confronto proprio nella coroplastica etrusca in un gruppo recentemente illustrato, proveniente dal santuario di Portonaccio a Veio, composto da una figura di Eracle con leonté (acconciata in modo diverso) e da una Minerva con elmo e corazza, nella stessa disposizione del gruppo di S. Omobono, con Atena in posizione leggermente subordinata rispetto all’eroe (Colonna 1987b; per l’identificazione del mito rappresentato dal gruppo di S. Omobono: Sommella Mura 1977a, 119 ss.; Sommella Mura 1977b, 6 ss.). Del massimo interesse risulta la chiave di lettura del mito (Boardman 1972, 57-72; Boardman 1978b) in riferimento alle vicende del tiranno ateniese Pisistrato, autoidentificatosi con Eracle e riconquistante l’Acropoli al fianco di una mentita Atena (Her. I, 60). Al mito dell’introduzione di Eracle all’Olimpo era stato dunque affidato il compito di svolgere, nell’Atene della seconda metà del VI secolo a. C., una funzione prettamente “tirannica”, sacralizzante e deificante il sovrano. Tale funzione ben si potrebbe collegare ai gruppi di S. Omobono e di Veio, trattanti l’analogo tema, in relazione con le figure “tiranniche” dei sovrani etruschi di Veio e di Roma (Ampolo 1981b; Ampolo 1981c; Grottanelli 1987, 94-99; Colonna 1987b, 32).

Problematica rimane la questione della collocazione del gruppo scultoreo. Infatti la base connessa al gruppo (Sommella Mura 1977a, 197, figg. 35a, b, 36) mal si adatta per forma e dimensione ad esser collocata sul kalypter hegemon in funzione acroteriale, potendo forse essere più appropriatamente pertinente ad un donario presente nell’area sacra (Cristofani 1990), come analogamente supposto per il gruppo di Portonaccio (Colonna 1987b, 26 e 32). Alcune considerazioni tecniche, quali lo spessore ridotto delle pareti, l’assenza di speroni interni di rinforzo, l’assemblaggio prima della cottura di parti modellate separatamente (notato nel gruppo di Portonaccio), la relativa fragilità complessiva del gruppo statuario, possono aggiungere elementi di riflessione all’ipotesi del donario.

2. Figura ammantata frammentaria urn:collectio:0001:antcom:15990

Argilla beige-rosa ricca d’inclusi augitici.

Tracce di vernice bruna e gialla.

Lunghezza max 26,5; larghezza max 12,5; altezza max 17,8; spessore delle pareti 2,3.

Inv. 15990.

Si conserva, parzialmente ricomposta da tre frammenti, la parte sinistra di una figura ammantata probabilmente femminile, come sta ad indicare la disposizione dei capelli sulle spalle, formanti un riquadro geometrico (come nell’Atena del gruppo). Sulla spalla sinistra rimangono la mano e parte del braccio sinistro di un altro personaggio. La mano allungata e affusolata è per dimensioni del tutto confrontabile con quella dell’Atena: deve quindi essere per proporzioni uguale, o di poco inferiore, al personaggio abbracciato.

Gjerstad 1960, fig. 265, 5-6; Sommella Mura 1977a, 101 e 113, fig. 31.

Questo frammento è stato ipoteticamente identificato con una scena di ratto per confronto con il noto acroterio ceretano di Eos e Kephalos (Andrén 1940, 36, tav. XI, 40; Pallottino 1950, figg. XXX, XXXI, XXXVIII; Sommella Mura 1977a, 113, per una esemplificazione della raffigurazione del mito, C. Weiss in LIMC, III, 1 e 2, s.v. Eos, 747-789).

La identità di proporzioni tra la figura ammantata e il personaggio che la abbraccia (che quindi non può essere identificato con Kephalos fanciullo rapito), deve fare riconsiderare l’ipotesi proposta, non potendosi suggerire una sicura interpretazione.

3. Parte anteriore di piede destro urn:collectio:0001:antcom:15811

Argilla beige ricca d’inclusi. Tracce della vernice rossa che copriva il calzare.

Lunghezza max 16; larghezza max 8; larghezza max 7,1; spessore max 1,7.

Inv. 15811.

Frammento anteriore di un piede destro, calzante un tipico calceus repandus dalla punta rivolta in alto. Foro di sfiato sul dorso del piede.

Potrebbe essere messo in relazione con la precedente figura femminile.

4. Piede destro di figura panneggiata urn:collectio:0001:antcom:15855

Argilla beige-grigio ricca d’inclusi augitici.

Tracce di vernice gialla.

Lunghezza max 21,5; larghezza max 12; altezza max 21; spessore max 0,25.

Inv. 15855.

Si conserva il piede destro, con un calzare chiuso, e la parte inferiore della gamba panneggiata, fin sopra il malleolo. Il mantello lungo fino ai piedi presenta delle pieghe. Si conserva anche parte della base di appoggio della figura, con il margine esterno della base. Sul dorso del piede è presente un piccolo foro di sfiato.

Gjerstad 1960, 454, fig. 285, 1; Sommella Mura 1977a, 101, fig. 29.

La figura (maschile) può essere messa forse in relazione con quella di cui si conserva la sola mano sinistra (n. 5.1.2.).

ELEMENTI ACROTERIALI

5. Voluta ornamentale urn:collectio:0001:antcom:16155

Argilla beige ricca d’inclusi augitici. Eseguita probabilmente a stampo.

Lunghezza alla base 59; larghezza alla base 32; altezza totale 124; spessore max 28.

Inv.16155.

In più frammenti, è ricostruibile quasi integralmente. La base è di forma ovoidale e allungata, con i lati brevi squadrati. La voluta si rastrema gradualmente dirigendosi verso l’estremità, terminando a ricciolo. Le dorsali della voluta sono piatte. Tracce di decorazione bruna quasi interamente svanita.

Gjerstad 1960, 448, fig. 280; Gjerstad 1966, 452, fig. 125, 1-2; Sommella Mura 1977a, 94-99, figg. 21-22; Sommella Mura 1981a, 123; Colonna 1985a, 69, fig. 4.1.1.

E’ probabile per le volute una funzione acroteriale, ad ornamento degli spioventi del tetto, ai lati del kalypter hegemon, e che esse, cave all’interno, fossero sostenute da un’armatura lignea solidale con il tetto.

E’ probabile che le volute (di cui a S. Omobono si conoscono quattro identici esemplari) non siano altro che un “arcaismo” architettonico, derivando dalle precedenti strutture lignee con incrocio di pali sulla sommità del tetto. Confronti interessanti possono essere fatti soprattutto con le urne cinerarie ceretane tardo orientalizzanti dove volute in funzione acroteriale sono di forma in tutto simile a quelle di S. Omobono (Martelli 1979a).

6. Voluta ornamentale urn:collectio:0001:antcom:16156

Argilla beige ricca d’inclusi augitici.

Altezza max 102; spessore max 2,7.

Inv. 16156.

La voluta è frammentaria e mancante della base. Si conservano tracce leggibili della originaria decorazione dipinta. Le guance della voluta sono decorate con un motivo a scaglie di serpente, campite da vernice bruna, dipinte in bruno e arancio. Le dorsali piatte sono decorate da fasce parallele sovrapposte di colore bruno.

Gjerstad 1960, 448, fig. 280, 1-6; Sommella Mura 1977a, 94-99, figg. 21-22; Sommella Mura 1981a, 123; Colonna 1985a, 69, fig. 4.1.1.

7. Voluta ornamentale urn:collectio:0001:antcom:16157

Argilla beige ricca d’inclusi augitici.

Lunghezza della base 59; larghezza max 31,5; altezza 75,5; spessore 2.

Inv. 16157.

Frammentaria. Comprende tutta la base e parte del fusto. Tracce di vernice bruna sulle guance e decorazione a fasce sovrapposte in bruno lungo le dorsali piatte.

Gjerstad 1960, 448, fig. 280, 1-6; Sommella Mura 1977a, 94-99; Colonna 1985a, 69, fig. 4.1.1.

8. Voluta ornamentale urn:collectio:0001:antcom:16158

Argilla beige ricca d’inclusi augitici.

Base: lunghezza max 58; larghezza max 32; altezza max 55. Puntale a ricciolo: lunghezza max 50. Inv. 16158.

Frammentaria. Si conservano parte della base e del fusto, con tracce di vernice rossa sulle guance e decorazione a fasce brune sovrapposte sulla dorsale piatta esterna della voluta. La terminazione a ricciolo, completamente ricostruita dai frammenti, è decorata da fasce parallele rosse e nere che seguono l’asse longitudinale.

Gjerstad 1960, 448, fig. 280, 1-6; Sommella Mura 1977a, 94-99; Colonna 1985a, 69, fig. 4.1.1.

9. Cassetta fittile

Argilla rossa ricca d’inclusi.

Lunghezza 45,5; larghezza 29; altezza max 21; spessore 1,5.

Di forma grossolanamente ovoidale con il margine superiore obliquo. Cava all’interno presenta la base non piena, con un foro di forma ellittica, forse per permettere l’inserimento di un perno ligneo.

Sommella Mura 1977a.

Si è pensato che potesse servire a fissare le volute fittili sugli spioventi del tetto, ma tanto le dimensioni (che non si adattano ad alcuna delle volute conservare) che l’argilla diversa fanno escludere l’ipotesi, pur rimanendo plausibile una funzione di sostegno acroteriale.

10. Cassetta fittile

Argilla beige ricca d’inclusi augitici.

Lunghezza max 60; larghezza 25; altezza min. 17,5; altezza max 24.

Frammentaria. Di forma simile alla precedente, ma di dimensioni maggiori.

Sommella Mura 1977a.

11. Frammenti del kalypter hegemon urn:collectio:0001:antcom:16119

Argilla beige ricca d’inclusi augitici.

Ø ricostruibile ca. 55-60; spessore 2.

Inv. 16119, 16125 urn:collectio:0001:antcom:16125 .

Si presentano due frammenti del probabile kalypter hegemon del tempio arcaico caratterizzati da una decorazione a fasce diagonali in vernice bruna. Per le dimensioni è confrontabile con l’esemplare interamente ricostruito dall’Esquilino (n. 10.1.4).

12. Elemento decorativo a disco urn:collectio:0001:antcom:15859

Argilla beige con ingubbiatura crema.

Ø max ricostruibile 66 circa.

Inv. 15859, 15820 urn:collectio:0001:antcom:15820 , 15879 urn:collectio:0001:antcom:15879 .

1-2. Due frammenti di forma analoga ed identica decorazione. Sembrano pertinenti ad un largo disco, caratterizzato da un lato bordo (cm 6,5), leggermente rigonfio e formante un angolo ottuso con il lato di facciata, decorato da un semplice kyma ionico, con lingue baccellate e frecce romboidali, dipinte alternativamente in rosso e nero. Il retro leggermente incavato presenta l’attacco dipinto ad un elemento perduto. Per la decorazione è stata ipotizzata una funzione quale parte di un capitello fittile di tipo dorico; suggestiva appare l’ipotesi della sua pertinenza ad un disco acroteriale.

3. Frammento di forma e decorazione in tutto simile ai precedenti, con il bordo leggermente più stretto (cm 5,5).

13. Elemento decorativo urn:collectio:0001:antcom:15822

Argilla rosa con ingubbiatura crema e tracce di policromia in rosso.

Lunghezza 13; larghezza 11; spessore 2.

Inv. 15822.

Piccola placca a rilievo con decorazione vegetale costituita da due volute contrapposte, serrate tra loro da una fascia rettangolare, dalle quali sboccia un fiore di loto aperto dalle forme piene.

Può riferirsi ad una antefissa, ad un acroterio o ad altro elemento decorativo.

14. Felino (?) a tutto tondo urn:collectio:0001:antcom:16159

Argilla beige-rosa, ricca d’inclusi. Tracce di vernice gialla.

Lunghezza max 50; larghezza max 20; altezza max 30.

Inv. 16159.

Si conservano, in più frammenti, la parte posteriore ed il tronco di un felino. L’animale, accosciato sulle zampe posteriori, aveva il corpo impostato obliquamente sostenuto dalle zampe anteriori diritte, ora perdute. La coda, anch’essa perduta, doveva ripiegarsi su se stessa e aderire al dorso. Il corpo, conservato fino all’attaccatura delle zampe anteriori, è modellato a forme piene e rotonde senza una precisa demarcazione delle masse muscolari.

Sommella Mura 1977a, 101-107, fig. 32, note 66-67; Cristofani 1990.

L’animale doveva poggiare su di una lastra perduta e, per il suo assetto rampante, poteva essere collocato in funzione acroteriale sopra uno degli angoli frontali. Per una leggera flessione del corpo sul fianco destro, incavato, si può pensare ad una collocazione sull’angolo di sinistra. Il corpo del felino è stato interpretato come pertinente ad una sfinge, trovandosi numerosi confronti, tanto nella coroplastica che nella scultura in pietra, in Grecia e in Italia (Orlandos 1966, 78 ss., fig. 52, nota 4; Robinson 1965, 19, fig. 13; Richter 1961, 27 ss., figg. 96, 97, 100, 114-122; Andrén 1940, 413, tav. 129:451). Come sfinge acroteriale trova confronti stringenti con l’esemplare in pietra di Chiusi (Hus 1961, 72, n. 34, tav. XXXVI), con uno fittile da Cerveteri (Christiansen 1985, 135, fig. 3) ed in particolare con il frammento fittile rinvenuto presso il tempio delle Stimmate a Velletri (n. 8.6.26).

15. Coda di felino (?) urn:collectio:0001:antcom:15815 a tutto tondo

Argilla beige ricca d’inclusi augitici. Tracce della decorazione a vernice bruna disposta a fasce parallele.

Lunghezza 155; larghezza 9; spessore 3,5.

Inv. 15815.

Sommella Mura 1977a, 107, nota 66, fig. 33; Cristofani 1990.

Non pertinente all’animale precedente, va collocata su un animale simile (probabilmente ad esso speculare) di cui non sono stati individuati elementi. La coda, di forma sinuosa e con estremità ingrossata, si ripiegava su se stessa andando ad aderire alla groppa dell’animale.

Anche per questo è da ipotizzare una funzione acroteriale.

LASTRE DECORATIVE FRONTALI

16. Placca in terracotta urn:collectio:0001:antcom:16116 a forma di felino

Argilla beige ricca d’inclusi augitici.

Lunghezza max 154; altezza max 131; spessore max 3,5.

Inv. 16116.

Ricomposta parzialmente da più frammenti, modellata a rilievo basso e disegnativo, mostra un felino (pantera?) accucciato sulle zampe posteriori ed eretto sulle anteriori, il corpo di profilo verso sinistra. Si conservano tre porzioni del corpo: la parte posteriore (ricostruita da 49 frammenti), le zampe anteriori (in 14 frammenti), il collo con l’attaccatura del muso che doveva presentarsi di pieno prospetto (in 4 frammenti). La superficie, modellata a bassorilievo, è lisciata a stecca con una caratterizzazione curata delle principali partizioni anatomiche dell’animale.

Sommella Mura 1977a, 83-86, figg. 12-13; Colonna 1981a, 51; Sommella Mura 1981a, 118-119; Cristofani 1990.

Interessante è la tecnica di esecuzione della placca, modellata in una cassaforma, e poi divisa ancora cruda in più parti, onde permetterne una cottura ottimale. A cottura ultimata le singole parti erano giustapposte e fissate mediante chiodi attraverso i previsti fori. Sono ben evidenti in questa placca i margini di congiunzione nella parte inferiore del collo, all’attaccatura delle zampe anteriori e delle zampe posteriori.

E’ verosimile che impegnasse lo spazio frontonale, insieme all’altra anologa speculare, chiudendolo del tutto mediante l’ausilio di piatte lastrine fittili. Tale ricostruzione del frontone chiuso costituisce, a tutt’oggi, l’unica attestazione nell’area etrusco-italica, trovando un confronto nei frontoncini delle tombe dipinte tarquiniesi, ed in ambiente greco nei grandi frontoni in pietra di Corfù e di Atene, databili già nella prima metà del VI secolo a. C. (Sommella Mura 1977a, 83 ss.; Colonna 1981a, 51; contro l’ipotesi dello spazio frontale chiuso: Staccioli 1979; Staccioli 1981).

In questo schema decorativo del frontone chiuso si è voluta vedere (presente o meno tra i due felini una figura di Gorgone alata) un'influenza della grande scultura corinzia. Per le caratteristiche stilistiche queste placche sono state cronologicamente datate alla prima metà del VI secolo (riferendole ad una prima fase costruttiva del tempio: Sommella Mura 1977a, 89 s.; Sommella Mura 1981a, 118 s.); più recentemente, invece, sono state ricollegate nello schema iconografico alle figure di pantera nella ceramica pontica, nella pittura parietale e nei bronzi del tardo arcaismo, facendole ritenere stilisticamente e cronologicamente affini a tutto il materiale architettonico proveniente da S. Omobono, per il quale è stata proposta una datazione unitaria al 540-530 a.C. (Cristofani 1990).

17. Placca in terracotta urn:collectio:0001:antcom:16101 a forma di felino

Argilla beige ricca d'inclusi

Altezza max 28,5; larghezza max 34; spessore max 3,5.

Inv. 16101.

Frammento di placca relativo al petto (fino all'attaccatura delle zampe anteriori) di una figura di felino del tutto simile alla precedente, ma speculare, rivolta a destra. Un altro frammento recentemente individuato può collocarsi sulla groppa dell'animale. Tecnica esecutiva e caratteristiche del modellato risultano identiche all'esemplare precedente.

Sommella Mura 1977a, 83-86, fig. 13.

18. Frammenti della Gorgone (?)

1. Argilla beige ricca d'inclusi augitici urn:collectio:0001:antcom:16077 .

Lunghezza max 25; larghezza 23.

Inv. 16077.

Questa placca, ricomposta parzialmente da cinque frammenti, è lavorata a basso-rilievo in una tecnica analoga a quella impiegata per le placche con i felini. L'andamento curvilineo dei margini ha fatto interpretare il frammento come parte di un'ala.

2. Argilla beige ricca d'inclusi augitici urn:collectio:0001:antcom:16107 .

Lunghezza max 37,8; larghezza max 28.

Inv. 16107, 16028 urn:collectio:0001:antcom:16028 .

Placca ricomposta parzialmente da nove frammenti. E stata interpretata come parte di panneggio.

Sommella Mura 1977a, 86, nota 44; Giuliano 1981.

Tali frammenti sono stati interpretati come pertinenti ad una gorgone che, sull'esempio dei frontoni arcaici greci, doveva figurare al centro dello spazio frontonale, affiancata simmetricamente da due pantere.

19. Lastrine angolari del frontone

1. Argilla beige-grigio, ricca d'inclusi urn:collectio:0001:antcom:15884 augitici.

Base 34; altezza max. 22,4; spessore 2.

Inv. 15884.

Questa lastra, parzialmente ricostruita da sei frammenti, va certamente collocata, per l'andamento obliquo del lato superiore, nell'angolo frontonale sinistro. La lastra, come dimostra il margine destro ad angolo retto, terminava qui, dovendovi aderire un'altra consecutiva. Sul lato destro si riconoscono ancora deboli tracce di una decorazione (una treccia ?) in vernice rossa e bruna. Sono presenti cinque fori per chiodi.

2. Argilla beige-grigio, ricca d'inclusi urn:collectio:0001:antcom:15906 augitici.

Base ca. 50; altezza max 23; spessore 2.

Inv. 15906, 15908 urn:collectio:0001:antcom:15908 .

Questa lastra, parzialmente ricostruita da otto frammenti non tutti connessi tra loro, risulta del tutto simile alla precedente per dimensioni e tecnica (lisciatura a stecca ed ingubbiatura rossa). L'andamento obliquo del lato superiore la fa collocare nell'angolo frontonale sinistro. Si conserva l'originario margine sinistro della lastra ad angolo retto, a cui doveva seguire un'altra lastra consecutiva. Anche in questa lastra sono presenti cinque fori, disposti secondo un identico schema per un analogo supporto ligneo. Sommella Mura 1977a, 86 ss., figg. 14 e 15.

20. Treccia ornamentale urn:collectio:0001:antcom:15812

Argilla grigio-rosso. Ingubbiatura crema.

1. Lunghezza 11,5; larghezza 13,8; spessore 3.

2. Lunghezza 25,5; larghezza 10; spessore 3,8.

3. Lunghezza 34,7; larghezza 9,4.

Inv. 15812, 15890 urn:collectio:0001:antcom:15890 .

Conservata in tre parti frammentarie, è composta da due larghi cannelli dal profilo rigonfio, con una base comune, serrati da una fascia superiore, secondo un andamento rastremato. La superficie presenta tracce dell'originaria policromia in rosso, bianco e nero. Incerta permane la collocazione, dovendo avere una funzione puramente decorativa. Il retro piatto e l'assenza di fori di fissaggio fanno pensare che dovesse aderire ad una superficie piatta.

COPERTURA DEL TETTO

21. Tegola piana

Argilla crema con inclusi augitici.

Lunghezza max 44,5; larghezza totale 50.

Ricomposta parzialmente da 14 frammenti, risulta l'esemplare più completo. Il tipo è a doppio bordo rialzato sui lati lunghi. Di forma leggermente trapezoidale, conserva la base maggiore a bordo piatto.

22. Tegola piana

Argilla beige ricca d'inclusi augitici.

Lunghezza max 19,5; larghezza max 10,5; spessore 2,5.

Angolo superiore destro di una tegola piana a bordo rialzato. Conservato il dente per l'incasso nella tegola precedente. Parte della decorazione policroma in rosso.

23. Tegola piana urn:collectio:0001:antcom:16007

Argilla beige con inclusi augitici. Ingubbiatura crema.

Lunghezza max 23,5; larghezza max 22; spessore 3,2.

Inv. 16007.

Del tutto simile agli esemplari precedenti. Decorata con due grossi triangoli, aventi per base i lati corti della tegola, contrapposti per l'angolo di vertice e di colore diverso, l'uno in vernice rossa, l'altro in bruno. Dal confronto con i frammenti conservati si è potuta ricostruire una tegola piana, di forma leggermente trapezoidale, larga circa m 0,50 e lunga circa m 0,62-0,65, caratterizzata dai bordi rialzati e dal dente d'incasso.

24. Embrice ricurvo urn:collectio:0001:antcom:15828

Argilla beige ricca d'inclusi, superficie esternamente coperta da ingubbiatura crema.

Lunghezza max 25; larghezza max 16; spessore max 4; Ø ricostruibile 18.

Inv. 15828.

Frammentario, spezzato all'estremità, con bordo rialzato dal profilo squadrato. La superficie esterna ha un'elegante decorazione, disposta su fasce parallele. Dall'estremità si notano una fascia continua di fiori aperti e di fiori chiusi a bocciolo in rosso e in nero; una fascia continua di denti di lupo in rosso; una fascia a baccellatura (?) in nero.

Sommella Mura 1977a, 91, fig. 16.

Questo embrice, di tipo "laconico", deve essere associato alla sima laterale con gocciolatoio a protome felina, nelle cui aperture si inserisce perfettamente.

25. Embrice triangolare urn:collectio:0001:antcom:15911

Argilla beige-giallo, ricca di inclusi augitici.

Lunghezza max 19,5; larghezza 28,2; spessore 3.

Inv. 15911.

Frammento di embrice triangolare di tipo "corinzio", con parte del margine del lato corto a dente. Il profilo è a doppio spiovente, impostato su corte pareti verticali secondo uno schema "a casa". Nella parte esterna si dispone una decorazione policroma, che forma simmetriche semilune ai lati dell'asse mediano, alternativamente rosse e nere.

Inedito.

È probabilmente da riferire o ad una fase diversa dell'edificio templare, o ad un'altra struttura.

26. Sima laterale con gocciolatoio urn:collectio:0001:antcom:15801 a protome felina

Argilla beige con inclusi augitici.

Lunghezza 48; altezza max 18; spessore max 4.

Inv. 15801, 15893 urn:collectio:0001:antcom:15893 .

Coronante le tegole perimetrali del tetto, è stata ricomposta parzialmente da dieci frammenti. Si può suddividere in listello aggettante, fascia decorata da baccellature a rilievo e fascia liscia.

Sommella Mura 1977a, 90-91, figg. 16-18.

La sima svolgeva la funzione di contenimento delle acque pluviali e del loro convogliamento verso le protomi feline dalle fauci aperte, in funzione di gocciolatoi. Attraverso le aperture predisposte a semicerchio, tra due sime dovevano inserirsi gli embrici ricurvi, decorati all'estremità da antefisse a testa femminile. Paragonabile per tipologia ad esemplari microasiatici (Akerström 1966, 122, tav. 61), trova confronti a Murlo (Philips 1968; 252 ss.; Andrén 1974, tav. XXII, fig. 50); esemplari identici a Velletri (Andrén 1940, 414,1: 13, tav. D, 1-2). Databile intorno al 540-530 a.C, è stata riferita alla seconda fase del tempio di S. Omobono.

27. Antefissa a testa femminile urn:collectio:0001:antcom:15805

Argilla beige, ricca d'inclusi augitici.

Lunghezza max 17,5; altezza max 8,5; spessore max. 3,7.

Inv. 15805.

Si conservano solo due frammenti, relativi alla parte inferiore del collo e alla capigliatura a treccia sulla sinistra della testa.

Sommella Mura 1977a, 91-94, fig. 19.

Confronti immediati con le antefisse da Velletri (n. 8.6.24), il cui stile ionico-etrusco trae diretta ispirazione da antefisse a testa femminile di produzione samia (Winter 1978, 38, tav. 15,3).

LASTRE DI RIVESTIMENTO FRONTONALI

28. Lastra di rivestimento con processione urn:collectio:0001:antcom:15883 di carri

Argilla beige-bruno, ricca d'inclusi augitici.

Lunghezza 65,8; altezza 37,6; spessore max 2,8.

Inv. 15883.

Ricomposta da più frammenti, per lo schema della processione marciante verso sinistra è stata collocata sul rampante di destra del frontone templare. È ripartita architettonicamente in toro rigonfio con sezione "a oliva", cavo all'interno, decorato a squame (sei file sovrapposte e sfalsate di semicerchi eseguiti a compasso e dipinti); becco di civetta basso e stondato, gola dal profilo molto basso ornata da una fascia di baccellature a rilievo; listello a sezione rettangolare; fregio rilevato a matrice con scena di procesione. Da sinistra verso destra si riconoscono un personaggio maschile stante con lunga asta nella mano destra, che introduce la processione; segue una triga, affiancata da una figura maschile con lancia sulla spalla; sul cocchio sono un auriga dai lunghi capelli, con redini e ferculum, e subito dietro una figura femminile stante, con lungo mantello e tutulus; segue una biga, tirata da una coppia di cavalli alati, guidata da un auriga simile al precedente, affiancato da una figura femminile dal lungo mantello e tutulus, che con la mano sinistra gli tocca la spalla. Chiude la processione un personaggio maschile dal corto chitone con le braccia in gesto di commiato.

Akerström 1954, 191-231; Andrén 1974,1-16; Sommella Mura 1977a, 71-78, figg. 5-10; Cristofani 1977, 2-7; Sommella Mura 1981a, 119-120; Knoop 1987, 58, fig. 33 b.

Rientrante nel tipo "Processione II" della serie "Veio-Roma-Velletri", è comunemente associata alla scuola artistica veiente ed è assegnata all'ultimo quarto del VI secolo a.C., (Gjerstad I960, 458; Andrén 1974, 4). L'interpretazione della scena figurata è controversa riconoscendosi solo un generico schema decorativo (Akerström 1954,214-219): il viaggio verso l'Ade sotto la guida di Hermes psykopompos (G. Mancini 1915, 81), i defunti eroizzati (Andrén 1974,11), le divinità Fortuna e MaterMatuta (Colonna 1985a, 69; Grottanelli 1987, 99-101), una processione trionfale (Cristofani 1987a, 47-48). Sicura è la collocazione di queste lastre sui salienti del tetto e la datazione del ciclo figurativo intorno al 540-530 a.C. (Sommella Mura 1977a, 71; Cristofani 1990; per un inquadramento complessivo del tipo "Processione II" si veda Fortunati 1989a, 71-72).

29. Lastra di rivestimento con processione urn:collectio:0001:antcom:15800 di carri

Argilla beige-bruno, ricca d'inclusi augitici.

Tracce di policromia sulla superficie.

Lunghezza 33; altezza 37,9; spessore 3,4.

Inv. 15800.

Sommella Mura 1977a, 71-78, figg. 5-10; Sommella Mura 1981a, 119 s.

Ricomposta parzialmente da più frammenti, presenta la stessa struttura architettonica e decorativa della precedente, rientrando nel tipo "Processione II" della serie "Veio-Roma-Velletri". La conservazione del margine sinistro obliquo la fa collocare all'estremità superiore del rampante destro del timpano.

Identica è la composizione figurata, salvo l'omissione del personaggio maschile con lunga asta che apre la processione, qui escluso dal taglio obliquo del margine sinistro.

30. Lastra di rivestimento con processione urn:collectio:0001:antcom:15817 di carri

Argilla beige-bruno, ricca d'inclusi augitici.

Dimensioni non ricostruibili.

Inv. 15817 urn:collectio:0001:antcom:15817 , 15867 urn:collectio:0001:antcom:15867 .

Sommella Mura 1977a, 76, fig. 8.

Si conservano solo otto frammenti, non tutti ricollegabili tra loro. Lo schema architettonico con toro, fascia baccellata e fregio risulta identico agli esempi precedenti, ma diverso è il modulo narrativo, con processione marciante verso destra aperta dalla figura di Hermes-Turms con caduceo e petasos, secondo il tipo "Processione I" della serie"Veio-Roma-Velletri" (si veda per questo tipo Fortunati 1989a, 69-71, fig. 6).

Della scena rappresentata sono riconoscibili frammenti della triga e della biga, tirata da cavalli alati. L'andamento della processione verso destra, in contrapposizione alle lastre precedenti, ha fatto ipotizzare una collocazione sul rampante di sinistra del timpano.

31. Lastra di rivestimento con processione urn:collectio:0001:antcom:15955 di carri

Argilla beige ricca d'inclusi augitici. Tracce di vernice rossa sulla superificie.

Lunghezza max 33; altezza max 17,5; spessore max 2,3.

Inv. 15955 urn:collectio:0001:antcom:15955 , 15963 urn:collectio:0001:antcom:15963 .

La lastra, parzialmente ricomposta da sette frammenti, è formata da un basso toro dal profilo appena rigonfio, affiancato direttamente (a differenza delle precedenti) al fregio figurato. La scena rappresentata è quella consueta per la processione di cocchi, riconoscendosi le ali del cavallo trainante il cocchio, le redini e il ferculum dell'auriga.

Gjerstad 1960, 402, fig. 265, 3.

Come collocazione può ipotizzarsi l'architrave orizzontale, a completamento del ciclo figurativo illustrato sui rampanti del timpano.

32. Lastra di rivestimento con processione urn:collectio:0001:antcom:15827 di carri

Argilla arancio ricca d'inclusi augitici.

Dimensioni non ricostruibili.

Inv. 15827 urn:collectio:0001:antcom:15827 , 15831 urn:collectio:0001:antcom:15831 , 15978 urn:collectio:0001:antcom:15978 , 16037 urn:collectio:0001:antcom:16037 .

Ad una lastra simile per forma alla precedente, ma diversa per argilla e tema figurato, sono stati attribuiti sette frammenti omogenei per impasto e spessore. Si riconoscono la parte inferiore di una coppia di cavalli, affiancata da un personaggio nudo stante, il muso di un cavallo, parte del cocchio con il timone e la parte superiore di una figura (femminile?) con chitone e lunghi capelli, che forse sosteneva le redini.

Sommella Mura 1977a, 78, fig. 10; Cristofani 1990.

Il tema trattato è stato ricostruito come una variante della nota processione di carri (A. Brown 1974, 60-65, fig. 5), da ubicare quale sima frontonale sull'architrave, a completamento del ciclo figurativo illustrato sui rampanti del timpano. Tale ipotesi, per la totale diversità dell'argilla e del tema figurato, non sembra più sostenibile, dovendosi preferire per questa funzione la lastra illustrata in precedenza: poteva forse decorare un trave orizzontale.

33. Lastra di rivestimento urn:collectio:0001:antcom:15802

Argilla beige-crema ricca d'inclusi augitici.

La superficie è coperta da vernice rossa.

Lunghezza non ricostruibile; altezza 20; spessore 1,8.

Inv. 15802 urn:collectio:0001:antcom:15802 , 15804 urn:collectio:0001:antcom:15804 , 15935 urn:collectio:0001:antcom:15935 , 16002 urn:collectio:0001:antcom:16002 .

Appartengono a questo tipo di rivestimento fittile numerosi frammenti, omogenei per argilla, colore, spessore e dimensioni. Questa lastra, ampiamente lacunosa, è ricomposta da dodici frammenti. Si ripartisce in un'ampia fascia a baccellature concave impresse a matrice, e in una sottostante fascia decorata a rilievo. Il motivo è costituito da doppi meandri incrociati in campi metopali occupati alternativamente da stelle ad otto punte inscritte in quadrati e da palmipedi (cigni?) ad ali spiegate, visti di profilo verso destra. Akerström 1954, 191; Gjerstad 1960, 267; Akerström 1966, 267; Andrén 1974, 2 ss.; Sommella Mura 1977a, 78, fig. 11; Knoop 1987, 63-71; Cristofani 1990.

Tale motivo noto su fregi figurati a Roma (Palatino: n. 4.1.25), a Velletri (n. 8.6.1-10), a Cisterna (n. 9.6.75), è diffuso in Etruria sui vasi "pontici", chiaro indizio dell'influenza ionica nell'arte etrusca della seconda metà del VI secolo a.C. (per l'inquadramento stilistico e cronologico si veda Knoop 1987, 64-66, figg. 36-39). È stata ipoteticamente riferita ai lati lunghi del tempio arcaico, con una datazione al 540-530 a.C.

34. Lastra di rivestimento urn:collectio:0001:antcom:15823

Argilla beige-grigio, ricca d'inclusi augitici.

Lunghezza max 44,5; altezza max 12,5; spessore 2.

Inv. 15823.

Parte di lastra, ricomposta da quattro frammenti, costituita da un ampio toro rigonfio (decorato da almeno sette file sovrapposte e sfalsate di semicerchi, dipinti in bruno, ocra e bianco, a squame) e una bassa fascia con baccellature a rilievo dipinte in vernice rossa.

Sommella Mura 1977a, 94, fig. 20.

La lastra, simile per tipologia alle precedenti, ma differente per stile e realizzazione plastica, è stata considerata una sima frontonale del tempio. È probabile, per le diversità notate, che non vada associata alle lastre con processione di carri, ma si riferisca ad una fase costruttiva diversa o ad un altro edificio.

35. Lastra del geison obliquo urn:collectio:0001:antcom:15816 del tetto

Argilla beige-grigio chiaro, ricca d'inclusi augitici.

Lunghezza max 41; altezza max 28,4; spessore max 5.

Inv. 15816.

Ricomposta parzialmente da sette frammenti, deve essere collocata, per la presenza del margine obliquo destro, all'estremità inferiore del rampante destro. La lastra si ripartisce architettonicamente in toro rigonfio dalla sezione "a oliva", cavo all'interno, con decorazione a squame (sette file sovrapposte e sfalsate di semicerchi eseguiti a compasso e dipinti in marrone e arancio); basso becco di civetta stondato; gola dal profilo molto basso, ornata da una fascia di baccellature dipinte in marrone e arancio quasi del tutto svanite; piccolo cannello semicircolare; fregio decorato a rilievo con testa di felino di profilo verso sinistra, ben caratterizzata nelle partizioni anatomiche, dipinta in rosso. Segue sulla sinistra un elemento decorativo, forse un fiore di loto aperto, che separa la figura del felino, probabilmente accucciato sulle quattro zampe, da un'altra identica figura speculare.

Sommella Mura 1977a, 68-71, fig. 3; Knoop 1987, 57 ss., fig. 33a; Cristofani 1990.

La lastra, un unicum nella documentazione nota sia per la struttura che per lo stile, è stata cronologicamente collocata nell'ambito della prima metà del VI secolo a.C, riferita alla prima fase costruttiva del tempio arcaico (Sommella Mura 1977a, 70-71). Più recentemente si è proposta una cronologia più bassa (intorno al 540-530 a.C.), ed è stata collocata sul lato postìco del tempio, o piuttosto sul tempio gemello, contemporaneo e vicino, non ancora messo in luce dagli scavi (Cristofani 1990).

36. Lastra del geison obliquo urn:collectio:0001:antcom:15813 del tetto

Argilla beige-grigio chiaro, ricca d'inclusi augitici.

Lunghezza max 23; altezza max 15,5; spessore max 2,7.

Inv. 15813.

Ricomposta parzialmente da sette frammenti, deve essere collocata, per la presenza del margine obliquo sinistro, alla estremità inferiore del rampante sinistro. La lastra, del tutto simile alla precedente, presenta solo parte della gola ornata da una fascia di baccellature dipinte alternativamente in marrone e arancio, quasi del tutto svanite. Al di sotto del piccolo cannello semicircolare s'estende il fregio decorato, nel quale è riconoscibile una lunga e sinuosa coda rivolta verso destra e pertinente probabilmente ad un felino rivolto verso destra.

Sommella Mura 1977a, 68-71, fig. 4.

ELEMENTI DI COLONNA

37. Frammento di capitello urn:collectio:0001:antcom:16154

Argilla marrone con ingubbiatura crema.

Lunghezza max 32,5; altezza max 27,5; Ø ricostruibile all'abaco 68,5; al summo scapo 47.

Inv. 16154.

Si conserva frammentario il rivestimento fittile del summo scapo (di una colonna lignea di ca. cm 45 di diametro), dell'echino e dell'abaco di un capitello dorico. Il fusto decorato da 33 scanalature si chiude con un listello dal quale emerge un collarino a giro di foglie estroflesse. Ad esso si sovrappongono un echino dal profilo schiacciato e un basso abaco. Sulle foglie del collarino, sul listello e sulle scanalature sono ancora evidenti le tracce di policromia in rosso e nero.

Gjerstad 1960, 448, fig. 281, 2; Gjerstad 1966, 487, fig. 150, 2; Sommella Mura 1977a, 65-68, fig. 2; Torelli 1979, 308-309; Colonna 1985a, 69-70, fig. 4, 1; Knoop 1987, 59-60, fig. 34.

È uno dei rari capitelli arcaici in terracotta documentati in ambiente etrusco-laziale (Gjerstad 1960, figg. 90, 2 e 93, 4; anche n. 7.1.2), ricollegabile per alcuni particolari agli esemplari del tempio di Atena a Paestum e dell’Artemision di Korkyra (Sommella Mura 1977a, 65-68, fig. 2), ma che trova i confronti più stringenti con i capitelli in tufo da Vulci e da Veio-Portonaccio, e con gli esempi dipinti nella tomba delle Leonesse (Knoop 1987, 59). È stato ricollegato per la linea del profilo ai fregi provenienti da Satricum, come pertinente ad un sistema di rivestimento architettonico di tipo ionico (Knoop 1987, 59).

Considerato generalmente quale capitello e rivestimento fittile di una delle colonne del tempio arcaico di S. Omobono (Colonna 1987a, 65, fig. 2), può anche riferirsi ad un'altra struttura architettonica, o essere pertinente ad una colonna isolata quale supporto di sculture, come in contemporanei esempi attici e ionici (Colonna 1985a, 69, fig. 4, 1).

38. Frammento di base di colonna urn:collectio:0001:antcom:15854 (?)

Argilla grigio-chiaro ricca d'inclusi augitici.

Altezza max 22; lunghezza max 32,5; Ø ricostruibile alla base del plinto 82, al toro 60; spessore max 6,4.

Inv. 15854.

Ricostruito da più frammenti, dal profilo con andamento circolare e vuoto all'interno. E costituito da un alto plinto cilindrico, da un cannello, e da un toro rigonfio. Sono presenti internamente speroni di rinforzo della struttura. La superficie esterna, ingubbiata da una vernice crema, presenta una decorazione di versificata per componenti strutturali. Il plinto, dal basso verso l'alto, mostra un motivo a fascia con onde correnti verso destra nero, e superiormente una fascia a largo pettine rossa; il cannello cilindrico è decorato da nastri obliqui alternativamente rossi e neri; il toro rigonfio presenta invece un singolare motivo "a semilune spinose" rivolte verso destra, alternativamente rosso e nero.

Gjerstad 1960, 418, fig. 266, 1; Gjerstad 1966, 487, fig. 151; Sommella Mura 1977a, 65, fig. 1 e 312; Colonna 1987a, 65, nota 70, fig. 2.

Si è generalmente interpretato questo elemento quale rivestimento fittile di colonna, riferendolo alla base di una delle colonne del tempio arcaico, pur non potendosi trascurare una sua alternativa collocazione e funzione (supporto acroteriale?)

f. p. a.

5.2. Il deposito votivo di S. Omobono

I depositi votivi del tempio arcaico di S. Omobono, benché sinora scavati solo in minima parte — negli 80 cm3, meno della decima parte della presumibile estensione della favissa, sono stati recuperati oltre 300 oggetti integri o ricostruibili — hanno restituito materiali di produzione greca (corinzia, laconica, attica, rodia e samia), egizia, etrusca e picena, oggetti di pregio destinati essenzialmente all'esportazione da parte dei produttori (Virgili 1989, 45 ss.). In questa ottica è da collocare l'importazione e lo smercio sul mercato romano di oggetti preziosi come gli alabastra di alabastro, di importazione forse da Naukratis (presso il tempio arcaico di S. Omobono ne sono stati recuperati sinora tre), e di monili e di ornamenti come i pendagli di ambra e le figurette in avorio e in osso.

Non è ben chiaro quale potesse essere per queste importazioni la merce "di ritorno", dal momento che non si riescono ad individuare, per la Roma arcaica, produzioni artigianali destinate ai mercati dell'esportazione soprattutto per quanto riguarda l'area greca e mediterranea.

La produzione vascolare romana, per quanto è stato recuperato a S. Omobono, non va oltre il vasellame domestico d'impasto bruno quali olle, ciotole, foculi, bacini e i caratteristici vasi sferici presenti anche nel Comizio e a S. Maria della Vittoria (Gjerstad 1960, 238 fig. 148, n. 3-4; 157, fig. 99, n. 27-30) destinati al mercato interno e con un'area di diffusione che non si estende oltre il Lazio meridionale. La ceramica da dispensa e da cucina viene riprodotta anche in forme miniaturistiche ed esclusivamente per uso cultuale. Non è stato ancora possibile isolare una produzione romana del bucchero, nonostante alcune caratteristiche (pesantezza, spessore delle pareti, predilezione per le forme miniaturistiche e per le forme derivate dalla ceramica d'impasto) ricorrano sovente nei contesti romani. In impasto chiaro granuloso ed augitico sono alcuni bacini e ciotole, con fascia rossastra che sottolinea l'immancabile orlo a mandorla: in questa classe è da annoverare la c.d. coppa per sacrifici rinvenuta nell'area sacra di S. Omobono, nello strato pretemplare caratterizzato da un culto all'aperto. Del medesimo impasto chiaro granuloso ed augitico sono manufatte le tegole — e le terrecotte architettoniche — del tempio arcaico, che sia per forma che per tipo di impasto si differenziano nettamente dalle tegole di impasto rosso scuro rinvenute nella fase pre-templare, databile sulla base delle associazioni ceramiche, ancora entro il VII secolo.

Di notevole interesse, per la storia del culto e per l'estrazione etnica e sociale dei devoti, risultano i documenti iscritti provenienti dalla stipe.

Il frammento appartenente ad un vaso d'impasto bruno lucidato, di forma chiusa con decoro impresso, reca l'iscrizione uqnus graffita con ductus sinistrorso e in alfabeto apparentemente ceretano-veiente (n. 1.5).

E' la più antica iscrizione etrusca trovata a Roma, ed è stata rinvenuta nel livello precedente alla costruzione del tempio di I fase (Settore IV D strato 12-13; Ioppolo 1971-1972, 12), nella c.d. fossa per sacrifici insieme con una ciotola d'impasto chiaro con orlo a mandorla deposta su di uno strato di carbone e cenere. Alla metà del VI secolo a.C. è da riferire la lastrina in avorio a forma di leone accucciato — antichissimo esempio di tessera ospitale — con iscrizione con ductus sinistrorso graffita sul retro araz silqetenas spurianas (n. 1.6). La placchetta è stata rinvenuta nel deposito votivo ubicato lungo il lato posteriore del tempio arcaico di I fase.

Del medesimo periodo è l'iscrizione latina con ductus sinistrorso ouduios incisa sul fondo esterno di una coppetta in bucchero rinvenuta all'altezza del primo gradino della scaletta d'accesso al tempio (settore IV E strato 11) e l'iscrizione incisa sul fondo esterno di un vaso in bucchero e di cui rimangono due sole lettere al rinvenuta nello scarico situato sulla fronte del tempio accanto all'ara sacrificale (settore I AB strato 19-20) (Virgili 1989, 57 s.).

I PENDAGLI IN AMBRA E OSSO (tav. X)

Punto focale per il commercio dell'ambra nel Mediterraneo e negli altri centri italici sembra essere il Piceno dove, già nella fase orientalizzante, sono state rinvenute ambre finemente lavorate sia a Vasto che a Belmonte Piceno, a Montegiorgio e a Numana. Le analisi spettromorfiche a raggi infrarossi hanno dimostrato la provenienza baltica sia delle ambre di S. Omobono che di quelle rinvenute in area picena, situando l'area come uno dei principali centri di smistamento di tale materiale che, importato ancora allo stato naturale, sarebbe stato poi lavorato per essere immesso in altri mercati. C'è da notare, inoltre, che l'area istriano-slovena, con cui i Piceni ebbero stretti rapporti, era uno degli sbocchi preferenziali della via che dal nord, lungo la vallata dell'Elba, portava l'ambra fino in Italia e gli stessi utensili usati per la sua lavorazione (pomice e pelle di squalo) costituiscono una indicazione sulla matrice costiera dei suoi artigiani. Nel Piceno l'ambra, rara precedentemente, diviene copiosa soprattutto in età arcaica quando come merce pregiata da scambio viene avviata sui mercati attraverso le vie d'acqua dell'Esino e del Potenza, dalla zona di Numana verso l'area etrusca e tirrenica e, più a sud, lungo le valli del Vomano, dell'Aterno-Pescara e del Sangro verso il Lazio meridionale. Una fibula ad arco acuto con elemento d'ambra trattenuto da segmenti d'osso identica nella forma e nei materiali alla fibula rinvenuta a S. Omobono (Roma 1981a, 148) è stata rinvenuta a Numana (Piceno IV B:Lollini 1976,151, fig. 18; un esemplare analogo anche a Brezje sull'opposta sponda adriatica). In area picena (necropoli di Numana: Lollini 1976, 164, tav. 129), sono stati anche rinvenuti pendagli a forma di figurette maschili e femminili in osso, il cui uso come pendenti trova riscontro negli analoghi esemplari in bronzo pertinenti a pendagli di pettorali e che si ritrovano pressoché identici nel deposito votivo di Anagni (Gatti 1987, 257) e a S. Omobono (Zevi 1985, 10.18c 8).

LA CERAMICA DI IMPORTAZIONE GRECA (tav. X)

Mentre solitamente la ceramica di importazione greca è presente solo in minima quantità nelle stipi romane, negli scavi dei depositi votivi del tempio arcaico di S. Omobono, sono stati recuperati, in forme intere o attestati solo da frammenti, oltre un centinaio di vasi. La classe degli unguentari è rappresentata da due pezzi di eccezionale fattura: un aryballos globulare corinzio databile alla fine del VII secolo, dipinto a vernice rossa e nera e decorato con un motivo a quattro fiori di loto alternati a foglie (Roma 1981a, 125) e un unguentario configurato a melograno decorato con scena di caccia (leone che insegue una lepre), di produzione greco orientale, probabilmente rodia, eccezionale per la sua decorazione figurata. Tranne pochi altri frammenti appartenenti a vasi configurati di produzione corinzia, l'unica forma rappresentata è la coppa, evidentemente per esigenze legate al culto e all'offerta, sia con decorazioni figurate come nelle kylikes di produzione attica e laconica, sia con la superficie decorata da semplici linee concentriche o da fasce verniciate alternate a zone risparmiate come nelle coppe di produzione ionica (Roma 1981a, 124-130; Zevi 1985, 276; Virgili 1989, 47).

LA CERAMICA ETRUSCO CORINZIA (tav. X)

Nella ceramica etrusco corinzia presente a S. Omobono il repertorio decorativo è limitato a sequenze di uccelli acquatici, in volo o posti in schema araldico, con occhi e penne resi con incisioni e riempitivi a rosette rese con macchie espanse e graffiti a croce all'interno o a decorazioni geometriche costituite da fasce orizzontali di vario spessore alle volte alternate da motivi a spina di pesce. Oltre ad aryballoi ed alabastra, presenti in quantità predominante, le forme più rappresentate, evidentemente per motivazioni cultuali, sono la kylix e la coppetta a fondo piano o con alto piede a tromba e le patere ombelicate con fori da sospensione, le pissidi e due sole tazze con decoro rappresentante una maschera con lineamenti in rilievo modellati a stecca in una forma mutuata dal bucchero (stipe del Comizio: Gjerstad 1960, 228) e attribuite al Gruppo a Maschera Umana, attivo a Vulci negli anni 560-540 a.C. (Martelli 1987, 29, 294 s.).

Al Ciclo dei Rosoni, bottega operante a Vulci negli anni 580-540, è stata attribuita la maggior parte del vasellame dipinto recuperato nel deposito anche se tra i pezzi romani mancano esemplari rappresentativi. Prodotti in ateliers dell'Etruria meridionale sono anche i balsamari configurati ad animale con orifizio al sommo della testa o con tappo a forma di testa e pelame reso a puntinato, imitazioni da prototipi corinzi e rodii della prima metà del VII secolo (Roma 1981a, 134-140; Zevi 1985, 273-276; Martelli 1987, 29, 294-295; Virgili 1989, 48).

IL BUCCHERO (tav. X)

Nella seconda metà del VII e nel corso di tutto il VI secolo il bucchero ebbe a Roma grande diffusione e i 'servizi' in bucchero sostituirono sulle mense il vasellame domestico di impasto. Tale capillare diffusione (attestata dai corredi tombali e dalle stipi di S. Maria della Vittoria, del Lapis Niger, del Comizio, del Campidoglio e ora anche da S. Omobono) e alcune caratteristiche tecniche che differenziano il bucchero romano dalla produzione etrusca (pesantezza e spessore delle pareti, ricorrente cattiva cottura e produzioni miniaturistiche) avvalorano l'ipotesi dell'esistenza di officine locali che riproducevano il repertorio tipologico spesso in forme ridotte, insieme con forme derivate dalla ceramica d'impasto e delle fasi media e tarda della ceramica dipinta etrusco corinzia. Mentre brocche e olpai riproducono in forma ridotta i prototipi di periodo orientalizzante di produzione etrusca, il grande aryballos globulare trova un equivalente nella stipe di S. Maria della Vittoria, coppette su piede e ciotole si confrontano con la coeva ceramica etrusco corinzia e patere ombelicate e kyathoi come anche pissidi trovano un parallelo nelle coeve stipi romane, un unicum nel panorama laziale è invece da ritenere l'amphoriskos derivato in forma ridotta da prototipi corinzi del tardo VII secolo a.C. (Virgili 1989, 50).

IL VASELLAME DOMESTICO

La suppellettile domestica è documentata da una serie di olle cilindro-ovoidi da cottura di dimensioni ridotte e mai usate in quanto prive di tracce da fuoco, dalle ciotole a calotta emisferica e da una lucerna. La povertà del repertorio tipologico della suppellettile domestica è determinata da ragioni rituali. Mancano nel deposito votivo scavato nel 1977-1979 le olle globulari e cilindro-ovoidi di maggiori dimensioni e i doli che, nell'uso quotidiano, potevano superare il mezzo metro di altezza. Un'olla cilindro-ovoide e ciotole a calotta emisferica di dimensioni usuali erano presenti invece nello scarico accanto all'ara sacrificale (settore I AB 19-20) usate anche nel rito per cuocere le viscere degli animali sacrificati. Olle cilindro-ovoidi, tazze, ciotole, foculi e bacini furono invece recuperati in buona quantità negli sterri del 1938 presso l'angolo nordoccidentale del tempio arcaico.

Determinata dalla chiara destinazione cultuale è la enorme quantità di vasi miniaturistici che riproducevano nella forma il vasellame da cucina e che venivano appositamente fabbricati e venduti nelle vicinanze del tempio per essere dedicati e donati alle divinità o, nell'uso funerario, per attestare il rango e la funzione sociale della defunta: fornelli simbolici, olle, piattini, ciotoline, tazze-attingitoio con lungo manico, e le focaccine di farro, il più diffuso cereale del Lazio (Virgili 1989, 52).

p. v.

6. La civiltà artistica

6.8. Torso di guerriero dall'Esquilino urn:collectio:0001:antcom:03363 (tav. XIV) [Pag. 144]

Terracotta.

Altezza 36; larghezza max 24.

Roma, Antiquarium Comunale, inv. 3363.

BullCom. III, 1875, 54; Andrén 1940, 344 I: 2, pl. 107:382; Giglioli, Bull. Comm. LXXII 1946-1948,143 ss.; Helbig 1966, 599; Paribeni 1969; Colonna 1977, 162 ss.; Paris 1977, n. 736; Roma 1981a, 152 ss.

II torso venne ritrovato alla fine del secolo scorso, tra la terra di riempimento di una tomba a camera nell'isolato XXI, nei pressi della Porta Esquilina, nella stessa zona dove sono stati rinvenuti il coppo di colmo, la base di peperino di un tripode e l'arula con la sirena ad ali spiegate (n. 10.1.3); tali elementi portarono a supporre in questa zona extra moenia l'esistenza di un luogo di culto (Colonna 1977, 134, n. 14). Insieme al torso, ricomposto da due frammenti, fu anche ritrovata una gamba sinistra, conservata dal ginocchio alla caviglia, appartenente ad una figura di guerriero di dimensioni di poco inferiori alla metà del vero. Si ipotizza che questo personaggio dovesse far parte di un gruppo formato di due o tre figure raffigurate verosimilmente in una scena di lotta; la sua funzione venne interpretata, nei tempi passati, sia come frontonale (Gjerstad 1966, 456) sia come acroteriale (v. Vacano 1973, 549); attualmente l'ipotesi più diffusa è che facesse parte di un donario. Il guerriero ferito, raffigurato in posizione di caduta, indossa un'armatura di tipo attico con corazza, scudo e schinieri; il grande scudo rotondo, attaccato dietro la spalla ed il braccio sinistro, presenta la maniglia decorata con un intreccio a scacchiera ed è realizzato mentre sta cadendo lungo il braccio (Sommella Mura in Roma 1981a, 153).

L'argilla molto depurata è stesa intorno ad un nucleo interno di impasto grossolano e crea un modellato plastico su cui si evidenzia l'eleganza sia dei particolari dell'armatura e dei motivi ornamentali resi pittoricamente sia della leggera tunica che, uscendo da sotto la corazza sull'omero sinistro, forma delicate pieghe ricadendo sul braccio. Notevole è anche la veristica realizzazione del sangue che sgorga dalla ferita al torace e che segue la stessa inclinazione del busto. Questi elementi escludono il nostro esemplare dal novero della coeva produzione di ambiente etrusco-laziale mentre l'avvicinano alla coroplastica corinzia e magnogreca (Colonna 1977, 164). Il guerriero si deve collocare nell'ambito di una produzione artistica ellenizzante che si affermò a Roma nel primo trentennio del V secolo a.C. attraverso l'attività di artisti magnogreci.

c. m.

IL LAZIO

10. Il culto dei morti

10.1 Materiali dall'Esquilino [Pag. 252]

Roma, Antiquarium Comunale

1. Urne dalla tomba 193

Dalla Necropoli Esquilina, 1888.

1. Peperino.

Altezza totale 68; lunghezza 92; larghezza 70,5.

2. Marmo greco urn:collectio:0001:antcom:00455 .

Altezza totale 42; lunghezza 59; larghezza 38.

Inv. 455.

Nsc 1888, 132; Pinza 1905, 184; Pinza 1914, 162; Helbig 1966, 609 n. 1884; Roma 1973, 196 s., n. 281; Colonna 1977a, 131 s., figg. 4-5 a, b; Sassatelli 1977a, 109 s; Roma 1981a, 51 s., 68.

La grande urna in peperino con coperchio a tetto presenta specchiature rettangolari su ciascun lato e sugli spioventi del tetto ad imitazione di una cassa lignea; all'interno conteneva un'urna cineraria di marmo in forma di cassa liscia poggiante, come la prima, su peducci angolari.

L'urna in marmo, con coperchio a doppio spiovente decorato da quattro acroteri angolari e da due centrali posti sul culmine del tetto, presenta residui della decorazione policroma: tracce di un kymation ionico ad ovuli e lance incisi e dipinti in rosso e blu si vedono sul bordo superiore della cassa, mentre altre decorazioni dovevano essere applicate sui bordi del tetto e sui timpani come testimoniano piccoli fori.

L'urna in marmo trova confronti con esemplari analoghi in area etrusca: si conoscono due urne simili intere ed un coperchio ritrovati a Spina (Aurigemma 1965, 135 s., tomba 344, tav. 163a; 138s., tomba 485, tav. 167) ed un coperchio di urna da Cerveteri (Cavagnaro Vanoni 1966, 132, tomba 128, tav. 26).

La provenienza greca è confermata dal tipo di marmo e dal confronto con sarcofagi greci coevi molto simili nella formulazione architettonica (Sassatelli 1977, 109 s.). In base al confronto con le urne di Spina che presentano corredi tra il 510 ed il 480 a.C, la datazione può fissarsi alla fine del VI secolo a.C.

c. m.

Materiali dalla necropoli

II rinvenimento di materiale architettonico di età arcaica nell'area della necropoli è stato considerato testimonianza dell'esistenza di un santuario situato fuori della porta Esquilina, a cui sono attribuibili anche il torso di guerriero ferito (n. 6.8.) e altri reperti (Bartoloni 1988, 151). La presenza di luoghi di culto in aree cimiteriali di periodo arcaico, pur se da definire ancora compiutamente, non desta eccessiva sorpresa, poiché attestata sia nel Lazio, a Praeneste (Pensabene 1986a, 231, 260; Torelli 1989, 27) che in diverse località dell'Etruria (Colonna 1985a, 116 ss.; Atti Orvieto 1987): si segnala la necropoli di Ara del Tufo presso Tuscania, nella quale intorno ai tumuli e nelle camere sepolcrali erano stati deposti materiali architettonici in grande quantità, provenienti dalle coperture di edifici, evidentemente contigui, databili una o due generazioni dopo le tombe (Sgubini Moretti-Ricciardi 1982).

Nel caso della necropoli esquilina occorre però distinguere le varie condizioni di ritrovamento: mentre ad esempio il segmento del kalypter hegemon (n. 10.1.5) è stato rinvenuto riutilizzato come sarcofago sotto il pavimento di una tomba a camera databile al 130-120 a.C., la cui costruzione aveva sigillato anche altre sepolture, una delle quali ha restituito l'arula (n. 10.1.3), la lastra di rivestimento con bighe trainate da cavalli alati (n. 10.1.2) proviene invece da una tomba a camera, della quale è già stata deprecata la mancanza di qualsiasi altra notizia (Pinza 1905, 211 ss.). A causa dello stato frammentario e del soggetto raffigurato sarebbe suggestivo considerarla, piuttosto che una semplice decorazione dell'ambiente, secondo un costume pur attestato in Etruria a Caere da lastre fittili dipinte rinvenute in tombe a camera (Roncalli 1965), residuo di un episodio di culto funerario rivolto a tombe di personaggi eminenti, una sorta di heroon (nel senso prospettato da Whitley 1988, 174 s.), che troverebbe confronto con la situazione restituita dal monumento lavinate.

a. n.

2. Lastra di rivestimento urn:collectio:0001:antcom:03371

Terracotta.

Altezza max 24,5; lunghezza max 60,5.

Inv. 3371.

Da una tomba a camera presso la chiesa di S. Antonio.

BullCom III, 1875, 51, tav. VI.; Andrén 1940, 343 I: 1, pl. 104:371 con bibl. prec; Gjerstad 1960, 141, fig. 93:1 Gjerstad 1966, 476, fig. 143; Gantz 1975, 5; Cristofani 1987b, 98.

Presenta una scena di processione verso destra, Processione I, ed una parte molto frammentaria di cornice baccellata.

In base ai confronti con le lastre analoghe documentate a Roma nell'area sacra di S. Omobono (Sommella Mura 1977a, 76, fig. 8) ed a Velletri (nn. 8.6.11-14) dobbiamo supporre che al di sopra della fascia mediana baccellata fosse un toro squamato e che la estremità destra vada integrata con la figura di un keryx con lungo caduceo sorretto dalla mano destra alzata.

Questa lastra, insieme alle altre appartenenti al "tipo Velletri", diffuse a Roma (Esquilino, Comizio, Palatino, Campidoglio, S. Omobono), a Veio (Campetti e Portonaccio) oltre che naturalmente a Velletri, sono state attribuite ad un'unica bottega di Veio legata all'attività di Vulca (Gantz 1975, 1-9). Tale ipotesi di uno sviluppo di una tradizione veiente (Andrén 1940, 409) è stata riproposta (Cristofani 1977, 2 ss.) presupponendo una derivazione da modelli ceramografici ionici riconoscibili nei vasi vulcenti a figure nere (Cristofani 1981, 196-197). 530-510 a.C.

3. Arula urn:collectio:0001:antcom:05121

Terracotta.

Altezza 15; lunghezza base 27,5; lunghezza coronamento 24,5; profondità 11,5.

Inv. 5121.

Presso la chiesa di S. Vito.

Del tipo con sagoma a doppio echino e gola pronunciata, presenta sulla fronte una Sirena ad ali spiegate, con corte zampe; indossa un corto e leggero chitone dal profilo ondulato e reca un κύμβαλου in ciascuna mano. Sotto le braccia volute ornamentali ed una palmetta a cinque petali disuguali. Su tutta la superficie si conservano i resti della policromia, nera e rossa, che, in particolare, forma una decorazione geometrica sulle curve convesse dei lati corti.

BullCom III, 1875, 50, 55; Ricciotti 1978, 19-20, 35-36; 73-74, fig. 1, tav. I, con bibl. prec.

La forma caratteristica di questa arula, "a clessidra" (van Buren 1918, 16), sottolinea il rapporto esistente tra questi piccoli oggetti e gli altari monumentali a sagome curve, che essi imitano, diffusi dal VI secolo a.C. in poi in area romano-laziale (Castagnoli 1959-1960, 145 ss.: n. 8.4.4).

La rigidità frontale, lo schematismo della raffigurazione, il tipo di decorazione pittorica e la concezione ornamentale dell'arula riconducono alle terrecotte arcaiche di ambiente etrusco-laziale. Infine, la presenza dei κύμβαλα (van Buren 1918, 47;Scott Ryberg 1940, 158), strumento che si riconnette alla personificazione della Sirena quale accompagnatrice delle anime nel viaggio verso l'aldilà, non trova confronti in altre raffigurazioni dello stesso soggetto. Fine VI secolo a.C.

4. Antefissa a testa di sileno urn:collectio:0001:antcom:03374 (tav. XXVIII)

Terracotta.

Altezza 33,5; larghezza max 22,5; coppo: altezza 6; larghezza 8,5.

Inv. 3374.

Presso la chiesa di S. Antonio.

Presenta un volto largo con fronte increspata da rughe ondulate a rilievo; archi sopracciliari rilevati dipinti in nero; occhi delimitati da un bordo rilevato nero, con la pupilla nera ed una grande iride rossa. La bocca, dipinta in rosso, è in parte coperta dai lunghi baffi a doppia punta rialzata di color ocra. La barba, nera, è resa con pieghe orizzontali plasticamente ondulate e con striature bianche verticali di color ocra. La parte superiore del viso è delimitata da una fila di riccioli neri. Sulla testa si vede una corona di foglie cuoriformi di color ocra da cui si alzano le orecchie caprine. La base è decorata con un meandro rosso e nero.

BullCom V, 1877, 276 n. 2; Andrén 1940, CLXVI e 345 I:3, pl. 107: 383 con bibliografia precedente; Gjerstad 1960, 139, fig. 92:1,2; Gjerstad 1966, 572, fig. 130:1; Knoop 1981, 319; Cristofani 1987b, 115.

La marcata asimmetria tra le due metà del volto è già stata notata nelle antefisse arcaiche di Satricum (Knoop 1987, 44). Si confronta con le antefisse tardo arcaiche relative al secondo tempio di Satricum ed in particolare con la variante G, caratterizzata da dimensioni più grandi, da un volto molto largo e dal rilievo molto accentuato e plastico (Knoop 1981, 318). Alcune particolarità distinguono la nostra antefissa dalle altre tipologicamente affini: è l'unico esemplare conosciuto a Roma che presenta la capigliatura a riccioli invece della consueta "calvizie". Si differenzia da tutti gli altri esemplari anche per la resa della barba. Rispetto agli esemplari di Satricum appare più antico e più vicino alla tradizione ionica. Fine VI secolo a.C.

5. Coppo di colmo urn:collectio:0001:antcom:04400

Terracotta.

Altezza 30; larghezza 54; lunghezza 124.

Inv. 4400.

BullCom 1878, 296 n. 19; Pinza 1914, 144; Andrén 1940, 347, tav. A:l; Gjerstad 1960, 144, fig. 94,1: Helbig 1966, 602 n. 1837; Colonna 1977a, 134 n. 14; Arezzo 1985, 70 4,3.

Riutilizzato per coprire una sepoltura al di sotto del pavimento in peperino della tomba Arieti. Ricomposto da vari frammenti, il grande coppo mostra sui lati lunghi due aperture rettangolari su ciascuna parte (cm 7 x 8), per l'incastro con gli orli rialzati delle tegole, sormontate da altrettante proiezioni cilindriche (cm 19 x 14), per l'inserimento di due filari di coppi per ciascun spiovente. Il coppo, con una decorazione a fasce nere che si intersecano, trova confronto con un altro kalypter hegemon proveniente sempre dall'Esquilino (Gjerstad 1960, 144, fig. 94:2) decorato con fasce rosse e nere formanti un motivo a zig-zag. VI - V secolo a.C.

c. m.

10.2. Sepolture da largo Magnanapoli [Pag. 255]

Roma, Antiquarium Comunale

II gruppo di tombe fu ritrovato nel settembre-ottobre 1876 presso la chiesa di S. Caterina da Siena, nell'attuale Largo Magnanapoli.

Il Lanciani (BullCom IV, 1876, 123-124) descrive tre diverse sepolture venute in luce in successivi momenti: inizialmente fu trovato, a 4 metri di profondità, un sarcofago coperto da un lastrone in pietra gabina accanto al quale era sepolta un'anforetta. La seconda deposizione consisteva in un sarcofago (m 2,10 x 0,90) entro il quale si trovarono dei resti umani, un balsamario di alabastro ed una corona con bacche di osso ricoperte da lamina aurea alternate a foglioline d'oro; secondo altre fonti in questa cassa si rinvenne anche uno spillo d'osso (NSc 1876, 185; Rapporti di scavo vol. 1875-1876, n. 1207; Pinza 1905, 264). Nel terzo sarcofago coperto con lastroni a cappuccina, si ritrovò un cranio e, secondo il Pinza (id.), le nove bacche d'osso che il Lanciani segnalò nella seconda cassa.

La confusione creatasi circa i dati relativi alla esatta collocazione dei reperti per ciascuna deposizione è stata causata dalla natura stessa del terreno: a causa di forti infiltrazioni d'acqua le casse furono ritrovate completamente ricoperte da uno spesso strato di fango che, infiltratosi all'interno dei sarco-fagi, provocò gravi danneggiamenti e lo spostamento degli oggetti.

Si tratta comunque di un gruppo di sepolture coeve che è stato possibile collocare tra la fine del VI ed il V secolo a.C. (Colonna 1977a, 131 ss.).

1. Alabastron di alabastro urn:collectio:0001:antcom:05425

Altezza 13,4; Ø bocchello 3,6.

Inv. 5425.

Corpo fusiforme con fondo arrotondato, corto collo cilindrico con un bocchello rotondo; due piccole prese laterali nella parte superiore del corpo.

Diffusi in tombe del tardo VI e del V secolo a.C. (Colonna 1977a, 138 n. 28; per S. Omobono: Roma 1981a, 131), sono oggetti piuttosto rari, generalmente considerati di provenienza egiziana; non è da escludere però la presenza di fabbriche anche a Rodi ed in Etruria. VI secolo a.C.

2. Spillo in osso urn:collectio:0001:antcom:05424

Lunghezza 7,5.

Inv. 5424.

Integro, presenta un'estremità appuntita e l'altra ovoide, al di sotto della quale è un foro passante.

L'uso dello spillone, attestato recentemente in una tomba femminile di Fidenae (n. 10.4) viene ipotizzato come elemento sostitutivo della fibula, nel corso del VI secolo a.C., nei corredi femminili (Bartoloni 1988, 149): il ritrovamento di oggetti simili anche in contesti votivi databili allo stesso periodo ne conferma la diffusione in questa epoca in area laziale ed etrusca.

3. Sei globuli in osso urn:collectio:0001:antcom:05429

Altezza media 1,4.

Inv. 5429.

A forma di pigna e di melograno con fori non passanti sulle basi.

Ritenuti parte, insieme alle lamine d'oro, di corone di foglie caratteristiche di tombe del IV e III secolo a.C. (Scott Ryberg 1940, 90) sono, invece, probabilmente appartenenti a diademi con pendenti del tipo noto in una tomba di Eretria dell'inizio del V secolo a.C.

(Colonna 1977a, 138).

4. Anforetta attica a figure nere urn:collectio:0001:antcom:05426

Argilla arancione.

Altezza 15; Ø bocca 10,5; Ø base 7,5.

Inv. 5426.

Ricomposta da 56 frammenti ed integrata; la vernice è saltata su ampie zone. La bocca ed il collo sono verniciati internamente; all'esterno presentano tracce di verniciatura nera il labbro, di cui è risparmiato il piano, le anse a tripla costolatura ed il piano del piede; il collo è decorato da una fila di palmette volte verso l'alto e da una fila di linguette nere. Un'ampia fascia nera, posta sui lati al di sotto delle anse, distingue le due raffigurazioni inquadrate da strisce puntinate. Le scene, molto lacunose, raffigurano, rispettivamente, Ercole in lotta con il cervo e con il leone Nemeo; in entrambe sono presenti, sulla sinistra, i cavalli del carro di Ercole.

BullCom 1876, 124; NSc 1876, 185; Pinza 1905, 263 fig. 105; Scott Ryberg 1940, 41 n. 214, fig. 68; Colonna 1977, 137, fig. 1-a-b.

Il vaso, già erroneamente identificato come un'imitazione italica, è invece da riferirsi alla produzione di vasi attici del Piosphos Painter (Beazley ABV, 517). Fine VI - inizi V secolo a.C.

c. m.

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