[ urn:collectio:0001:doc:romacapitale:1984 ]
II. L'archeologia nell'Esquilino, il primo quartiere di Roma Capitale
La necropoli Esquilina arcaica e repubblicana
(Margherita Albertoni)
TOMBA XXVIII
Rinvenuta in via G. Lanza l'8 aprile 1885. Il corredo era composto da tre vasi tipici delle prime fasi del sepolcreto esquilino: un'anfora e due tazze d'impasto; queste ultime sono state trovate una dentro l'altra, rituale diffuso in tombe dello stesso periodo.
Anfora urn:collectio:0001:antcom:12524
Ant. Com., inv. 12524;
alt. cm. 18; impasto; eseguita a mano.
Alto collo troncoconico, corpo globulare compresso, anse a nastro, priva di decorazione (cfr. Mueller Karpe, op. cit., tav. 44, n. 25; Peroni, op. cit., fig. 7, n. 10; A. M. Bietti Sestieri, in Ricerca su una comunità del Lazio protostorico, Roma 1979, tav. VI, n. 8).
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 92 c, tav. VI, n. 10; Gjerstad, op. cit., fig. 155, n. 1.
Tazza urn:collectio:0001:antcom:12523
Ant. Com., inv. 12523;
alt. cm. 12,5; impasto; eseguita a mano.
Notevoli dimensioni, colletto verticale, ampia vasca arrotondata; ansa insellata con larghe alette laterali e piccole bugne coniche sulla linea di massima espansione (cfr. Mueller Karpe, op. cit., tav. 44 n. 27; Peroni, op. cit., fig. 7, n. 18; Bietti Sestieri, op. cit., tav. VI, n. 21).
Bibliografia: Pinza in «Mon. al», cit., col. 92 a; Gjerstad, op. cit., fig 155, n. 2.
Tazza urn:collectio:0001:antcom:12525
Ant. Com., inv. 12525;
alt. cm 6; impasto; eseguita a mano.
Ansa cornuta con corpo schiacciato e breve colletto verticale; incisioni orizzontali decorano la parte interna dell'ansa (cfr. Mueller Karpe, op. cit., tav. 44, n. 28; Peroni, op. cit., fig. 7, n. 12; Bietti Sestieri, op. cit., tav. VI, n. 22).
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 92 b; Gjerstad, op. cit., fig. 155, n. 3.
TOMBA X
In questa tomba, scavata in via G. Lanza nel 1885, si rinvennero alcuni oggetti di ornamento femminile e una fuseruola, databili nei decenni centrali dell'VIII secolo a. C.
Fibula urn:collectio:0001:antcom:12402
Ant. Com., inv. 12402;
lungh. cm. 8,1; bronzo.
Arco di notevoli dimensioni a sanguisuga decorato da fasce trasversali campite a spina di pesce (cfr. aa. vv., in "DdA", cit., I, tav. 16, n. 30). Nello spillo della fibula erano infilati i tre anelli, decorati anch'essi da motivi incisi, con la probabile funzione di ferma-pieghe.
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 64a, tav. XII, n. 24; Mueller Karpe, op. cit., tav. 25 A 1.
Collana urn:collectio:0001:antcom:12403
Ant. Com., inv. 12403;
ambra, pasta vitrea, osso.
Ricostruita con alcuni elementi di materiali diversi. Si tratta prevalentemente di perline di pasta vitrea blu decorata con «occhi» un tempo riempiti di pasta bianca, di perline lisce di pasta vitrea gialla, e di alcuni elementi di ambra rossa. Questi ultimi sono di forma quadrata con foro centrale, oblunga con foro longitudinale o trasversale ad un'estremità. Al centro della collana è stato posto un elemento d'osso semicircolare decorato da minuscoli cerchietti incisi (cfr. AA.VV., in «DdA», cit., I, tav. 21).
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 65 b, c, d, tav. XIII, n. 10; Mueller Karpe, op. cit., tav. 25 A 5.
Fuseruola urn:collectio:0001:antcom:12404
Ant. Com., inv. 12404;
alt. cm. 2,4; impasto.
A sezione tronco conica a sei sfaccettature.
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 65 e; Mueller Karpe, op. cit., tav. 25 A 6.
TOMBA XII
Questa tomba, scavata in via G. Lanza nel 1885, ha restituito alcuni oggetti tipicamente maschili quali la spada, la punta di lancia, la fibula, insieme ad elementi di corredo femminile (non esposti), anch'essi in-quadrabili nei decenni centrali dell'VIII secolo a. C. Le tombe bisome non sono rare nelle necropoli protostoriche, ma in questo caso potrebbe trattarsi semplicemente della confusione di due corredi.
Punta di lancia urn:collectio:0001:antcom:12377
Ant. Com., inv. 12377;
lungh. cm. 19,5; bronzo.
L'immanicatura a sezione poligonale presenta un foro bilaterale funzionale al fissaggio dell'asta di legno.
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 67 a; Gjerstad, op. cit., fig. 179, n. 3; Müeller Karpe, op. cit., tav. 19 B 1.
Fibula urn:collectio:0001:antcom:12378
Ant. Com., inv. 12378;
lungh. cm. 10; bronzo.
Arco serpeggiante con occhiello e spillo curvo; la staffa è perduta (cfr. Bietti Sestieri, cit., tav. VIII, n. 42: fasi laziali IIA e IIB).
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 67 b; Gjerstad, op. cit., fig 179, n. 4; Mueller Karpe, op. cit., tav. 19 B 1.
Spada urn:collectio:0001:antcom:12381
Ant. Com., inv. 12381;
lung. cm. 25,8; ferro e bronzo.
La lama a doppio taglio presenta una costolatura mediana su un lato. L'impugnatura era in legno, ne rimangono tracce sulla verga di ferro a sezione quadrata che ne costituiva l'anima, e terminava con un pomello circolare delimitato da due dischi di bronzo. Il fodero era probabilmente in cuoio, rivestito di filo di bronzo girato a spirale (cfr. Castel di Decima, t. 21, in «NS», 1975, p. 247, n. 2, figg. 8-10).
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 67 e, tav. xv, n. 1; Gjerstad, op. cit., fig. 179, n. 2; Mueller Karpe, op. cit., tav. 19 B 4.
Restauri
I corredi delle tombe X e XII sono stati recentemente restaurati dalla cooperativa co.re.ar. nell'ambito di un più ampio progetto di intervento sui materiali protostorici dell'Antiquarium.
Brocca e anfora italo-geometriche
I due vasi, rinvenuti nel 1885 in via G. Lanza, rispettivamente nella tomba xxx e nella tomba XIII, sono eseguiti in argilla depurata, torniti e dipinti in bruno a motivi geometrici, fasce orizzontali e cerchi concentrici. Mentre le forme sono locali, il tipo di materiale e la tecnica usati sono greci: sono stati forse eseguiti da artigiani stranieri stanziatisi nel Lazio intorno alla metà dell'VIII secolo (cfr. Colonna, in Popoli e civiltà, cit., p. 16; E. La Rocca, in «DdA», VIII, 1974-75, pp. 86 ss.; Id., in Civiltà del Lazio Primitivo, cit., pp. 367 ss.).
Brocca urn:collectio:0001:antcom:12527
Ant. Com., inv. 12527.;
alt. cm. 12,9; argilla depurata; tornita.
Corpo sferico, labbro svasato e piccola ansa a nastro verticale. È decorata in bruno da fasce orizzontali e da cerchi concentrici nella zona di massima espansione.
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 93 b; Gjerstad, op. cit., fig. 187, n. 5.
Anfora urn:collectio:0001:antcom:12431
Ant. Com., inv. 12431;
alt. cm. 12,8; argilla depurata; tornita.
Corpo sferico, labbro svasato, anse a nastro verticali. La superficie è dipinta a fasce orizzontali in bruno tranne la zona della spalla, decorata a cerchi concentrici.
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 68 a; Gjerstad, op. cit., fig. 180.
TOMBA LXXIX
Trovata in via G. Lanza l'8 ottobre 1884.
Vi si rinvenne un piattello e altri frammenti dai quali si sono ricostruite l'anfora d'impasto e la brocca di bucchero; il corredo è inquadrabile nell'ultimo quarto del VII secolo a. C.
Anfora urn:collectio:0001:antcom:12289
Ant. Com., inv. 12289;
alt. cm. 24; impasto.
Alto collo cilindrico, corpo compresso, spalla baccellata e anse elicoidali; decorata da stampigliature circolari sul collo e sopra le bugne. Forma tipica dell'orientalizzante laziale (cfr. aa. vv., in Ricerca, cit., tav. XIII, n. 98 b).
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 129 b, tav. VIII, n. 2; Gjerstad, op. cit., fig. 221 n. 1.
Olpe
Ant. Com., inv. 12290;
alt. cm. 20,5; bucchero; tornito.
Il vaso è decorato da gruppi di linee orizzontali e, sulla spalla, da un motivo a semicerchi e settori di cerchi a puntinato. Forma piuttosto comune dalla fine del terzo a tutto il quarto venticinquennio del VII secolo (cfr. T. B. Rasmussen, Bucchero Pottery from Southern Etruria, Cambridge 1979, olpe tipo 1, p. 88, pl. 21, n. 86; per la problematica relativa all'origine locale o d'importazione, dei buccheri della seconda metà del VII secolo, cfr. aa. vv., in «DdA», cit., 2, pp. 178-179).
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 129 c, tav. X, n. 13; Gjerstad, op. cit., fig. 221, n. 3.
Piattello urn:collectio:0001:antcom:12288
Ant. Com., inv. 12288;
alt. cm. 6,9; impasto rosso; tornito.
Basso piede, motivo inciso ad archetti intrecciati sull'ampio labbro a tesa, nel quale si aprono anche due fori per la sospensione.
Vaso tipico dell'orientalizzante recente, noto sia in impasto rosso sia in bucchero (cfr. aa. vv., in «DdA», cit., tav. 37, n. 4 e tav. 40, n. 45).
Bibliografia: Pinza, in «Mon. al», cit., col. 129 a, tav. VII, n. 5; Gjerstad, op. cit., fig. 221, n. 2.
GRUPPO CVII
«Al terzo pilone principiando da via Buonarroti, ed alla pronfondità di m. 2 nel vergine, venne in luce una delle solite arche a parallelepipedi di peperino, coperta da lastre dell'istessa pietra posate a capanna, ossia a scala. La medesima era rivolta ad oriente dalla parte dei piedi». Queste sono le indicazioni relative alla tomba scoperta il 29 dicembre 1882, durante lo scasso per il pilone di fondazione dell'isolato XXIII, nell'angolo SO della piazza Vittorio. Probabilmente la copertura va intesa come due serie di lastroni posati in piano, sovrapposti ed aggettanti specularmente. Dalla tomba furono asportati il teschio e alcuni oggetti di corredo dei quali si è perduto soltanto un esemplare. Dopo la chiusura dell'Antiquarium al Celio, i vasi sono stati recuperati ed esposti al pubblico solo recentemente, in occasione della mostra «Roma medio repubblicana». La provenienza greca e orientale di alcuni oggetti, l'antichità di questi nell'ambito della necropoli repubblicana, oltre al fatto che questa tomba è l'unica di cui si sia potuto conservare il corredo quasi per intero, la rendono particolarmente importante e significativa.
Bibliografia: «ns», 1883, p. 14; Pinza, in «Mon. al», cit., gruppo CVII, coll. 173-4; Id., Monumenti paleontologici raccolti nei Musei Comunali, in «bc», xl, 1912, p. 37, fig. 11; Id., in «bc», 1914, cit., p. 156, tomba 165; I. Scott Ryberg, An Archaeological Record from Rome, London 1942, p. 54, n. 17.
Oinochoe urn:collectio:0001:antcom:13116
Ant. Com., inv. 13116;
alt. cm. 7.
In pasta vitrea blu, eseguita su anima d'argilla, con ornati a zig-zag (piumati) e a linee orizzontali in giallo e azzurro. Questo tipo di vaso, non raro in ambiente italico, è probabilmente prodotto da officine di area greco-orientale in un arco cronologico piuttosto ampio, tra l'età classica e l'ellenismo (J. W. Hayes, Roman, and Pre-roman Glass in the Royal Ontario Museum, Toronto 1975, p. 11, n. 19, tav. 2, con ampia bibl.; S. M. Goldstein, Pre-Roman and Early Roman Glass in the Corning Museum of Glass, New York 1979, n. 265, pl. 16, p. 128).
Bibliografia: E. Cicerchia, in Roma medio repubblicana, cit., p. 210, n. 288.
Guttus urn:collectio:0001:antcom:13113
Ant. com., inv. 13113, 13115 urn:collectio:0001:antcom:13115 ;
alt. cm. 3,4; argilla rosa, vernice nera; decorazione plastica e impressa; esecuzione molto raffinata. Il coperchio, del quale manca il pomello, presenta una vernice tendente al marrone.
Guttus a vernice nera con beccuccio a testa di leone, apertura superiore centrale e ansa a nastro (perduta). L'apertura presenta due incassi opposti per assicurare il coperchio provvisto di alette sporgenti. Il corpo è baccellato e decorato da palmette impresse sotto l'ansa, e sopra e sotto il beccuccio. Anche questo oggetto appartiene ad un tipo di vaso piuttosto diffuso, probabilmente usato per contenere l'olio delle lucerne. Tipo molto simili sono stati trovati negli scavi dell'agorà di Atene e fanno supporre la provenienza di questo da un'officina ateniese che ha lavorato nel primo 25ennio del IV secolo a. C. (B. A. Sparks-L. Talcolt, Black and Plain Pottery. The Athenian Agorà XII, Princeton 1970, pl. 39, nn. 1190-91; pl. 47).
Bibliografia: Cicerchia, op. cit., n. 286, p. 209.
Coperchio di pisside urn:collectio:0001:antcom:13114
Ant. Com., inv. 13114;
alt. cm. 1,8; argilla rossa, vernice nera molto compatta e lucida; orlo risparmiato, ingabbiato e accompagnato da linee rosse. Nella zona decorata la vernice è quasi completamente scomparsa. È da notare che, nel rapporto di scavo pubblicato in «Notizie degli Scavi», è ricordata una piccola coppa col suo coperchio; evidentemente si allude alla pisside, ora perduta.
Decorato, nella tecnica a figure rosse, da una civetta tra due rami di alloro. Il motivo decorativo, molto diffuso, in particolare su una classe di coppe biansate eseguite in Attica nel 2° e 3° quarto del v secolo e più tardi, in Italia (F. P. Johnson, A note on Owl Skyphoi, in «aja», lix, 1955, pp. 119-124), unito a caratteristiche tecniche, farebbe supporre anche per quest'oggetto una provenienza greca, anche se la mancanza di confronti puntuali e il cattivo stato di conservazione non permettono indicazioni più precise (per la forma: Sparks-Talcott, cit., pl. 43, nn. 1294-1297: dalla seconda metà del v secolo).
Bibliografia: Cicerchia, op. cit., n. 287, p. 209.
Pelike urn:collectio:0001:antcom:12117
Ant. Com., inv. 12117;
alt. cm. 8,7; argilla camoscio, vernice nera in molte zone tendente al rossastro; esecuzione scadente. Nell'inventario dell'Antiquarium la pelike, pur ricordata nei rapporti di scavo, non è inserita in questo corredo.
La forma è di tradizione greca (cfr. D. M. Robinson, Excavations at Olynthus, part. XIII, Baltimore 1950, pp. 198-199, n. 233, pl. 138); il colore uniforme e il rapido e poco preciso motivo ad incisione sembra in questo caso voler imitare la bella ceramica a vernice nera baccellata di IV secolo a. C.
Bibliografia: I. Scott Ryberg, op. cit., p. 89, pl. 21, fig. 14.
Specchio di bronzo urn:collectio:0001:antcom:13117
Ant. Com., inv. 13117;
diam. cm. 11,3; bronzo.
Il lato non specchiante è decorato da un'unica palmetta incisa rozzamente presso l'attaccatura del manico e da fine incisioni sul bordo. Il peduncolo, fuso insieme allo specchio, doveva essere inserito in un manico di altro materiale.
Bibliografia: Cicerchia, op. cit., n. 289, p. 210.
Segmento di manico di specchio urn:collectio:0001:antcom:13119
Ant. Com., inv. 13119;
alt. cm. 2,9; osso.
Internamente cavo, a sezione troncoconica, è formato da tre tori separati da coppie di listelli. Uno dei tori presenta due fori passanti funzionali al fissaggio dell'anima interna, ora perduta; un piccolo incasso anulare su una delle estremità serviva forse per incastrare un'eventuale borchia di base; l'altra estremità è lisciata per aderire ad un altro segmento. Probabilmente è da riferire allo specchio precedente (cfr. Y. Huls, Ivoires d'Etrurie, Bruxelles-Rome 1957; nn. 161-164: Chiusi; nn. 174-176: Orvieto; n. 186: Preneste; S. S. Weinberg, Etruscan Bone Mirror Handles, in «Muse», 9, 1975, p. 25 s., fig. 4, pp. 28).
Ricerca sui confini e l'apparato decorativo degli Horti Mecenatiani
(Margherita Albertoni)
5. Emblema con rappresentazione urn:collectio:0001:antcom:104948 del mito di Oreste e Ifigenia
Ant. Com., inv. 4948.
Il mosaico, rinvenuto nel 1876 nei pressi dell'Auditorium di Mecenate, era stato riutilizzato, insieme ad altri due esemplari simili, come copertura di una piccola fogna. Le tessere, di grandezza oscillante dai mm. 6 delle parti più esterne ai mm. 2 di quelle più interne, sono in marmo e pasta vitrea, allettate in una malta di calce e polvere di marmo posta sopra una lastra di terracotta con i bordi rialzati (cm. 54 x 54 x 4).
Ricomposto da quattro frammenti e recentemente restaurato, presenta una lacuna nell'angolo inferiore destro; in diversi punti si possono riconoscere anche restauri antichi.
Una cornice bianco-nera a dentelli gira intorno al quadro, mentre lo sfondo è diviso in due bande verticali di colori contrastanti, in ciascuna delle quali si inseriscono i due personaggi. L'uomo, in nudità eroica e con una clamide appoggiata sulla spalla, siede sopra un elemento cubico con le spalle allo spettatore ed è rivolto verso la figura femminile. Questa, in abito sacerdotale, tunica color porpora, sopravveste e mantello bianchi, velo celeste sul capo, ha i capelli ornati da una corona di foglie d'oro e reca in mano una statuetta.
La scena rappresenta, con molta probabilità, un episodio del mito di Oreste e Ifigenia, il momento del riconoscimento, a noi ben noto per l'elaborazione tragica attuata da Euripide nell'Ifigenia in Tauride. [1]L'incontro ed il riconoscimento dei due fratelli è un tema spesso rappresentato nelle arti figurative (cfr. H. Philippart, Iconographie de l'Iphigénie en Tauride d'Euripides, in «Rev. Belg. Phil. Hist.», IV, 1925 p. 32 ss.; S. Aurigemma, Un nuovo vaso con la leggenda di Ifigenia, in «Dedalo», XII, 1932, fasc. IV, p. 414 ss.): in genere la scena si svolge davanti al tempio di Artemide, del quale Ifigenia è sacerdotessa. Anche in questo caso è forse possibile riconoscere la porta del tempio dietro la figura di Oreste, l'altare sotto di lui, e forse un accenno al paesaggio montuoso della Tauride nello sfondo della figura di Ifigenia.
Nei dipinti e nelle raffigurazioni vascolari è di solito fissato il momento del riconoscimento: Ifigenia, stante, tiene nella mano il simulacro di Artemide mentre Oreste, nelle vesti di supplice, è in attesa del sacrificio. In particolare nel cratere apulo da Ruvo conservato presso il Museo archeologico di Napoli e in un dipinto della Casa del Centauro di Pompei (inv. n. 3223. Furtwaengler-Reicholds, Griechische Vasenmalerei, III, p. 164 ss., tav. cxlviii; P. Hermann, Denkmäler der Malerei des Alter-tums, Monaco 1904-1931, I, p. 164 ss., tav. CXIX), si individuano i confronti più immediati con il soggetto del nostro mosaico per quanto concerne l'impostazione scenica e il contenuto.
Nel nostro emblema però la presenza della lettera, visibile nella tavoletta appoggiata sull'altare sopra il quale siede Oreste, sta a indicare che il riconoscimento dei due fratelli è appena avvenuto.
Il mosaico riprende uno schema largamente usato nelle pitture di terzo stile sia per l'impostazione della scena, che presenta i due personaggi in antitesi e che trova una ricca serie di confronti, sia per le due figure che richiamano alla mente altre analoghe presenti nelle scene mitiche della pittura campana (si rimanda, agli esempi citati in B. Schweitzer, Zum Antiken Kunstlerbild, in Corolla Ludwig Curtius, Stuttgart 1937, p. 44; G. Bevilacqua, in «bc» lxxxvi, 1978-79, p. 39 ss.).
L'esecuzione del mosaico è in genere molto raffinata, si veda in particolare la resa della testa e dell'incarnato di Oreste nonché il panneggio accuratissimo dell'abito di Ifigenia. Alcune parti però appaiono realizzate in moto poco curato, in netto contrasto con il resto della composizione (per esempio il polpaccio e il piede destro di Oreste, la parte sinistra del volto di Ifigenia, la sua massiccia spalla destra e le parti inferiore e superiore dell'abito) e possono essere interpretati come restauri antichi.
In base a considerazioni prevalentemente stilistiche l'età del mosaico dovrebbe essere fissata intorno alla fine del II, inizi III secolo d. C. Il ritrovamento, all'atto dello scavo, di un altro mosaico riutilizzato nella copertura della stessa fogna e identico per dimensioni, supporto e cornice a dentelli, ma decisamente più tardo, inquadrabile nell'ambito della produzione artistica di IV secolo (Ant. Com., inv. 4949; Stuart Jones, Pal. Cons., pp. 272-273, n. 8, tav. CVII; D. Levi, The allegories of the Months in Classical Art, in «Art. B.» XXIII, 1941, p. 261, fig. 7), suggerisce l'ipotesi che i due emblemata in tale periodo facessero parte di uno stesso pavimento. Il mosaico più antico potrebbe essere stato allora restaurato e in parte modificato (supporto, dimensioni, cornice a dentelli) per meglio adattarsi al nuovo schema decorativo.
Bibliografia: Stuart Jones, Pal. Cons., p. 271-273, n. 8, tav. cvII; A. M. Colini, Antiquarium, Roma 1929, tav. IX, n. l; G. Bevilacqua, // mito di Oreste e Ifigenia in un mosaico dell'Antiquarium Comunale, «bc», lxxxvi, 1978-79, p. 39 ss., tavv. XVI-XIX.
Oreste, figlio di Agamennone e Clitemnestra e fratello di Ifigenia, e il suo amico Pilade, indotti a rapire il simulacro di Artemide conservato in Tauride (Crimea) nel santuario della dea, vengono catturati e devono essere sacrificati; si salvano solo grazie al riconoscimento di Oreste da parte di Ifigenia, sua sorella e sacerdotessa del santuario. Il riconoscimento avviene tramite una lettera che Ifigenia consegna a Pilade perché questi porti notizie di lei ad Argo, sua città natale. |